“Trotsky era d’accordo con Bucharin, ma era d’accordo anche con Lenin; o, meglio, era in disaccordo con tutti e due. Diviso com’era, da una parte e dall’altra, tenne un cattivo discorso. A metà febbraio (1918) egli aveva detto al Soviet di Pietrogrado che se fosse divenuto necessario combattere «dovremmo perdere dieci uomini per ogni tedesco» (14). Aveva comunque aggiunto: «Ritengo che un’offensiva tedesca contro di noi sia estremamente improbabile, e se si potesse parlare in termini di percentuale della probabilità di un’offensiva, direi che vi sono 10 possibilità che si verifichi contro 90» (15). Di fronte al VII congresso del partito, ammetteva il suo errore: «Ero uno di coloro che credevano che la Germania non avrebbe sferrato l’offensiva… Certo, noi facemmo una mossa rischiosa (il 10 febbraio). Il rischio era se il proletariato europeo sarebbe stato o no dalla nostra parte. Se no, noi saremmo stati schiacciati… Il compagno Lenin è convinto che, dopo che la Germania ha occupato Reval e altre città, è necessario firmare la pace; l’altra corrente, della quale anch’io faccio parte, pensa che oggi la sola possibilità per noi, nei limiti in cui dipende dalla nostra volontà, sia di agire come una forza promotrice della rivoluzione sul proletariato tedesco». Trotsky era inoltre contrario alla pace col governo fantoccio tedesco dell’Ucraina, capeggiato da Vinnicenko; ma sapeva che Lenin avrebbe accettato anche quello perché era un obbligo derivante dal trattato. Tuttavia egli non intendeva opporsi alla ratifica del trattato firmato a Brest-Litovsk il 3 marzo: «Non proporrò che non sia ratificato. Rispetto profondamente la linea politica che si è espressa nella firma del trattato di pace, nella sua ratifica, in questa o quella proroga, anche se è di dimensioni storiche indefinite. In questa sede è stato mostrato, e correttamente, in particolare dal compagno Lenin, che per fare la guerra bisogna farla come si deve. [E per tale ragione la Russia aveva bisogno di armi]. Se l’America ce le darà, le accetteremo per i nostri scopi, senza preoccuparci perché ci vengono da imperialisti. Abbiamo esaminato questa questione col compagno Lenin, e siamo giunti alla conclusione che l’America ci darebbe rifornimenti militari perché naturalmente servirebbero ai suoi interessi». I bolscevichi li avrebbero accettati pertanto per gli interessi propri. Infine Trotsky dichiarava che nella votazione si sarebbe astenuto, per tema che Lenin desse le dimissioni, come aveva minacciato. Non poteva pensare a una tale scissione o contribuirvi (16). (In effetti, fu Trotsky a dare le dimissioni). Il 24 febbraio aveva detto che voleva rinunciare all’incarico di commissario per gli Affari Esteri, ma Lenin lo aveva persuaso a rimanere, o almeno a non dare la notizia delle sue dimissioni da quella carica. L’informazione fu resa pubblica il 16 marzo 1918, e lo stesso decreto annunciava la nomina di Trotsky a «commissario del popolo per l’Esercito e la Marina» (17). Chiunque sia un po’ al corrente della storia sovietica degli ultimi decenni penserebbe che la decisione del VII congresso del partito fosse per Lenin l’ultimo ostacolo da superare nella sua corsa verso la ratifica del trattato di pace con la Germania” (pag 324-325) [(14) Trockij ‘Socinenija’, vol. XVIII, p. 114; (15) Ibid., p. 115; (16) Ibid., pp. 137-140; (17) Ibid., nota editoriale, pp. 675-76] [Louis Fischer, ‘Vita di Lenin. Volume primo’, Milano, 1973] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]