“Il perno su cui ruota tutto il ragionamento di Bernstein è la critica alla «teoria del crollo». Nel suo libro, ‘Bernstein e il programma socialdemocratico’, apparso nel corso stesso del 1899, Kautsky rileva giustamente che «Marx ed Engels non hanno mai prodotto una speciale ‘teoria del crollo’» e che «questo termine origina da Bernstein così come il termine ‘teoria dell’impoverimento’ proviene da avversari del marxismo» (9). Senonché, nella sostanza, ciò che Bernstein intende con questa teoria non è altro che il contenuto stesso del celebre paragrafo del ‘Capitale’ sulla «tendenza storica dell’accumulazione capitalistica». Le leggi coercitive della concorrenza, dice Marx, determinano la progressiva espropriazione dei capitalisti minori da parte dei maggiori e, con ciò, una sempre più accentuata «centralizzazione dei capitali». Questo processo, che è periodicamente accelerato dall’insorgere di crisi economiche, porta alla luce il limite immanente del regime capitalistico: la contraddizione tra il carattere sociale della produzione e la forma privata dall’appropriazione. Da una parte, dice Marx, «si sviluppano su scala sempre crescente la forma cooperativa del processo di lavoro (…), la trasformazione dei mezzi di lavoro in mezzo di lavoro utilizzabili solo collettivamente, l’economia di tutti i mezzi di produzione mediante il loro uso come mezzi di produzione del lavoro combinato, sociale»; dall’altra, «con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico». «’Il monopolio del capitale’ – conclude Marx – ‘diventa un vincolo del modo di produzione’ che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. ‘Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati’» (10). E’ un fatto che Bernstein dissente da questa descrizione della «tendenza storica dell’accumulazione capitalistica» che egli considera «un’anticipazione speculativa». E, non a caso, lo sforzo principale di tutto il suo libro è rivolto a negare o circoscrivere fortemente quella che oggi si considera, anche da parte di economisti non marxisti, la più verificata delle previsione di Marx: la prognosi della concentrazione e centralizzazione capitalistica (11). In questo senso ha quindi ragione la Luxemburg nel dire che «ciò che da Bernstein è stato messo in questione, non è la rapidità dello sviluppo, ma il corso stesso dell’evoluzione della società capitalistica». Bernstein, infatti, «non confuta soltanto una forma determinata di crollo del capitalismo, ma ne nega il fatto stesso» (12). O, per meglio dire, non nega soltanto il «crollo» (che, come vedremo, non è idea di Marx), ma nega anche – a prescindere da qualsiasi «crollo» automatico e quindi, ad es., dalla  tesi luxemburghiana che il sistema «si avvii spontaneamente a sfasciarsi e a ridursi a una pura e semplice impossibilità» (13) – ciò che è invece il nucleo vitale del marxismo: l’idea che l’ordinamento capitalistico è un fenomeno ‘storico’, un ordinamento ‘transitorio’ e non «naturale», e che esso, a causa delle proprie interne e oggettive contraddizioni, matura ineluttabilmente nel suo seno forze che spingono verso un’altra organizzazione di società” (pag XV-XVII) [dall’introduzione di Lucio Colletti a ‘I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia’, di Eduard Bernstein, Roma – Bari, 1968] [(9) K. Kautsky, ‘Bernstein und das sozialdemokratische Programm’, cit., p. 42; (10) K. Marx, ‘Il Capitale’, I, 3, Roma, 1952, pp. 222-23; (11) Sia qui ricordato soltanto il giudizio di un eminente economista americano, che respinge molti aspetti della teoria di Marx, W. Leontiev in ‘Proceedings of the 50th, Annual Meeting of the American Economic Association 1937’ (in “American Economic Review Supplement”, marzo 1938, p. 5 e 9), il quale osserva, a proposito della «brillante analisi marxiana delle tendenze di lungo periodo del sistema capitalistico», quanto segue: «L’elencazione veramente impressionante: crescente concentrazione della ricchezza, rapida eliminazione delle piccole e medie imprese, progressiva limitazione della concorrenza, incessante processo tecnologico accompagnato da una sempre crescente importanza del capitale fisso e, ultima ma non meno importante, la non diminuita ampiezza dei ricorrenti cicli, costituisce una serie senza precedenti di previsioni verificate, di fronte alla quale la moderna teoria economica, con tutte le sue raffinatezze, ha ben poco da mostrare»; (12) Luxemburg, ‘Scritti scelti”, cit., pp. 148-49; (13) Ivi, p, 148. Questa tesi sarà poi sviluppata dalla Luxemburg, com’è noto, nella sua ‘Accumulazione del capitale’, Torino, 1960]