“Il marxismo (…) a mio modo di vedere, non solo è la teoria sociale complessiva della trasformazione della società, ma è teoria sociale complessiva della trasformazione della società ‘capitalistica’. Credo sia importante sottolineare questo attributo, perché, se perdiamo di vista la ‘specificità’ della teoria marxiana della trasformazione sociale (trasformazione del modo capitalistico di produrre), non comprenderemo neppure bene il nesso che intercorre fra marxismo e violenza, marxismo e nonviolenza. Bobbio ha parlato anche di violenza come «mezzo» necessario – s’intende entro la concezione marxiana – per operare questa trasformazione. Io qui mi permetto di rettificare che il concetto della violenza come mezzo della trasformazione più che un concetto marxiano è un concetto engelsiano. Il fatto che il binomio Marx-Engels è stato istituito da tempo in modo così unitario e inscindibile che oggi non si riesce più a distinguere ciò che è di Marx e ciò che è di Engels. Ognuno ricorderà la polemica tra Dühring ed Engels proprio sul tema della violenza. Dühring che sosteneva essere la violenza la causa della nascita del capitalismo, ed Engels, invece, che nell’«Anti-Dühring», replica essere la violenza soltanto il mezzo di cui il capitalismo si serve per affermare se stesso. Di qui la spiegazione (da parte di Engels) di Robinson che assoggetta Venerdì non per il fine di esercitare la violenza, ma per farne un lavoratore alle sue dipendenze, cioè un produttore di ricchezza, di cui Robinson voleva appropriarsi. Diversa è la posizione di Marx sulla genesi del capitalismo. Marx si è sempre rifiutato di indicare la «vera» ed unica causa da cui trae origine il capitalismo. Quando nel ‘Capitale’ parla dell’accumulazione originaria, Marx dice pressa a poco che la questione di stabilire come e perché sia nato il capitalismo non suscita il suo particolare interesse. Commenta, anzi, che una tale questione assomiglia molto a quella che si pongono coloro che vogliono spiegare il perché del peccato originale in teologia. Il mio interesse, continua Marx, è quello di analizzare la società del mio tempo, e dentro la società del mio tempo (questa la sostanza della posizione di Marx) la violenza è causa e risultato insieme del capitalismo. Una conclusione, questa, non dissimile dall’altra cui perviene lo stesso Marx a proposito della lotta di classi. Mi riferisco alla questione, mai risolta fra gli interpreti ed i critici di Marx, se le classi vanno pensate come una «costante» sociale o come un «prodotto» storico specifico della società capitalistica. Eppure, anche in questo caso, la posizione di Marx è disinteressatamente esplicita. Le classi – chiarisce Marx – non le ho scoperte io, altri prima di me le hanno scoperte; ciò che io cerco di dimostrare è che, entro il modo capitalistico di produzione, quello che all’inizio era dato per presupposto si trasforma in risultato, per cui le classi (e con esse la lotta fra le classi) si consolidano, si perpetuano e si radicalizzano nel loro irriducibile antagonismo. Ed ancora lo stesso concetto ritroviamo espresso da Marx a proposito dell’alienazione. Nel saggio ‘Lavoro alienato’, la disputa sulla proprietà come premessa del lavoro alienato o del lavoro alienato come premessa della proprietà viene risolta da Marx con la stessa indifferenza per l’importanza di stabilire quale dei due fenomeni sia causa e quale effetto dell’altro. Proprietà privata e lavoro alienato sono strettamente interrelati, al punto che la presenza dell’uno porta immediatamente alla scoperta dell’altra e viceversa” [Leonardo Tomasetta, ‘La violenza non è una «scoperta» del marxismo’] [(in) Aa.Vv, ‘Marxismo e nonviolenza’, Genova, 1977]
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- Articolo pubblicato:1 Ottobre 2017