“Tutto ciò mostra che se i ceti medi non sono una realtà unitaria sulla base della loro composizione socio-economica essi non lo sono neppure nella ricomposizione politica e in occasione del voto. Ma anche l’esperienza italiana conferma quella delle democrazie industriali e dei paesi di avanzata industrializzazione: la questione dei ceti medi (moderni) non si esaurisce in se stessa, ma è da porsi in un ambito più generale e nella prospettiva più vasta della produzione dei rapporti sociali e dello sviluppo tecnico-scientifico. Alludo a una prospettiva simile a quella di talune pagine dei ‘Grundrisse’ marxiani (diventati celebri in questi recenti anni anche per questa ragione (6): grande industria, grande scienza, grande tecnologia, intelligenza tecnico-scientifica incorporata non solo nella macchina ma anche nel lavoro sotto forma di professionalità, l’operaio collettivo diventa il tecnico collettivo: siamo nell’epoca in cui la scienza e l’informazione diventano fattori immediatamente produttivi. Nella continuità dello sviluppo gli effetti di centralità dei fattori e dei processi accennati sopra persistono e prevalgono su quelli della perifericità. Il ‘general intellect’ tecnico-scientifico, la diffusa gerarchizzazione nelle tecnostrutture, nei quadri intermedi, l’estesa salarializzazione impiegatizia, giungerebbero a unificare i rapporti socio-economici in una ‘classe generale’ di produttori (proletariato universale: si potrebbe dire da un punto di vista marxiano) immediatamente inserita nello Stato-fabbrica e contrapposta allo Stato-capitale” [Filippo Barbano, ‘Ceti medi e crisi’] [(in) ‘I ceti medi in Italia tra sviluppo e crisi’, a cura di Carlo Carboni, Roma Bari, 1981] [(6) Alludo alle pagine per esempio dei Quaderni II e VII dei ‘Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica’, Einaudi, Torino, 1976, vol. I]