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“Per Wittfogel [‘Oriental Despotism. A comparative Study of Total Power’, Jale Up, 1957] il fenomeno stalinista sarebbe una variante moderna e quindi particolarmente efficace, di un modello di organizzazione sociale che fu specifico della Russia come di altri paesi non occidentali e del quale Marx e Engels in un primo tempo, Lenin, Plekhanov e altri in seguito, si accinsero ad analizzarne i caratteri. E’ noto che tale modello venne accolto da Marx fin dal 1850, dopo le letture di alcuni grandi economisti (Mill, Smith) che se ne erano precedentemente occupati. Egli lo incluse nel suo “schema di evoluzione delle società” sotto la rubrica “modo di produzione asiatico” (3). Osservando i caratteri delle società orientali, Marx e Engels, come i loro predecessori, erano rimasti colpiti dalla loro particolare struttura e dal loro immobilismo: assenza generale o quasi generale della proprietà privata della terra, esistenza quindi di comunità rurali, tipiche economie di auto-sussistenza, dominate però da uno Stato “dispotico”. L’esistenza di uno Stato e quindi di una classe dominante a cui corrispondeva una certa struttura fondiaria, veniva giustificata dal fatto che tali società erano generalmente caratterizzate da imponenti costruzioni idrauliche grazie alle quali l’irrigazione permetteva la coltivazione e l’utilizzazione di terre originariamente aride. Ora, ecco l’originalità delle società orientali, ‘questo modello di organizzazione sociale non corrispondeva alle forme di proprietà fondiaria fino allora in Occidente’. Il modello di società “asiatica” presentava i caratteri di una società stratificata – presenza di una classe dominante e di una classe contadina sottomessa a uno stato centralizzatore, anche se le forme di utilizzazione comunitarie del suolo restavano quelle tipiche delle società primitive. I due caratteri, distinti nel primitivo schema di sviluppo delle società sulla base della storia occidentale, coesistevano in un solo modello. Tale “a-tipicità” rispetto ai modelli conosciuti in Occidente spinsero Marx a inserire la società asiatica nel suo schema di evoluzione a 5 stadi (4). ‘Egli la interpretò come un modello di passaggio tra le comunità primitive e il modo di produzione antico’ (5). A prima vista, Wittfogel non fa che riprendere la nozione marxiana e arricchirla di indicazioni storiche, giuridiche, sociologiche, etnografiche che mancano nell’abbozzo di Marx. Ma in effetti, attendendosi al progetto “ideologico” che muove tutta la ricerca, egli cerca di imbastire, a sostegno della sua interpretazione, un processo gigantesco contro il presunto atteggiamento “machiavellico” che il marxismo avrebbe assunto verso tale nozione a partire dallo stesso Marx. Analizzando le discussioni succedutesi in varie epoche tra marxisti (6), le posizioni contraddittorie assunte da Engels, il quale omise definitivamente il concetto nell”Origine della famiglia’ (7) sulla presunta ambiguità di Marx stesso, Wittofogel tenta di ricostruire storicamente l’atteggiamento storico del marxismo sfociato nelle posizioni ufficiali dello stalinismo, consacrate dal famoso dibattito del 1931 (8). Wittfogel vorrebbe dimostrare che il sostanziale e definitivo rifiuto della nozione elaborata da Marx esprime un chiaro disegno politico di cui furono perfettamente coscienti tutti i marxisti. Troppe erano le analogie per non fare dei giudiziosi accostamenti tra il dispotismo della società asiatica e il modello totalitario proposto dalla dittatura del proletariato. Tale preoccupazione sarebbe stata comune a tutti i marxisti. Marx preferì insistere sul tipo di produzione della società asiatica piuttosto che sulle sue istituzioni politiche per superare in tal modo le imbarazzanti difficoltà a cui egli andava incontro nell’elaborazione dello Stato socialista. Engels ne fu ancor più cosciente al punto di sopprimere definitivamente il concetto; così Lenin, così altri marxisti… La cautela teorica andò man mano accentuandosi con l’instaurazione di un regime dittatoriale in Russia. Il dogma della rivoluzione in un solo paese, unito a quello dello Stato-guida, coincide infatti con l’abbandono del concetto diventato ormai “troppo ingombrante” (9).” [(3) Nel testo fondamentale pubblicato postumo: ‘Forme che precedono il modo di produzione capitalistico’ (Roma, 1956), incluso nella ‘Grundrisse der politischen Oekonomie’ (I ed., Mosca, 1939); (4) Tale criterio rientra nello schema “evoluzionista” di Marx contro cui non sono mancate le critiche. L’obiezione principale rivolta a Marx è che egli, volendo introdurre un modello non-occidentale all’interno del suo schema di evoluzione generale, avrebbe in tal modo distorto volontariamente i tipici caratteri delle società asiatiche. Tale obiezione viene ripresa da W. per poi insistere, “di conseguenza”, sul presunto aspetto politico di tale “manovra” teorica. In realtà il problema è assai più complesso e meriterebbe uno studio approfondito in cui non siano immischiate naturalmente delle fantastiche speculazioni pseudo-ideologiche. Ci limiteremo a qualche osservazione. E’ buona norma riferirsi a Marx stesso piuttosto che ai suoi commentatori. Nell”Ideologia tedesca’ in cui figura per la prima volta uno schema di evoluzione (l’opera è del 1850) egli fa una premessa metodologica generale inerente alla validità scientifica dei concetti in esso inseriti. “I concetti” – egli scrive – “non servono che a facilitare l’ordinamento del materiale storico, a indicare la successione dei singoli strati. ‘Ma non danno affatto, come in filosofia, uno schema sul quale si possa tagliare e sistemare le epoche storiche'” (pp. 24-25 dell’edizione italiana). Lo schema e i concetti restano quindi, se così si può dire, “propedeutici” – a differenza dei “modelli ideali” di W., la cui esaustività dichiarata nega le stesse premesse weberiane a cui costantemente l’A. si rifà. L’unilinearismo marxiano andrebbe secondo noi visto come una prima indicazione generale – e che potrebbe venir trasformato oggi in un multilinearismo dinamico – alle ricerche storiche-etnologiche il cui obiettivo restasse una tipologia generale dei sistemi sociali. Si tratta, perciò, di un’ipotesi teorica generale e non di uno schema di interpretazione rigido attraverso il quale la realtà si esplica. (Su tale problematica, cfr. il saggio di E. Balibar: ‘Sur les concpets fondamentaux du materialisme historique’, in: ‘Lire le Capital’, Paris, 1965); (5) Questo schema comprende le forme seguenti: 1. comunità primitiva; 2. modo di produzione asiatico; 3. modo di produzione antico; 4. modo di produzione schiavista; 5. modo di produzione germanico; 6. modo di produzione feudale; 7. modo di produzione capitalistico; (6) Su tali discussioni e sulle pubblicazioni di Plekhanov: ‘Introduzione alla storia sociale della Russia’ (1914); di Trotsky (1912), sul congresso di Stoccolma (1906) in cui vennero discussi questi problemi, cfr. l’introduzione di P. Vidal-Naquet all’edizione francese di ‘Oriental Despotism’ e un suo articolo pubblicato nel giugno 1964 da “Annales”; (7) Sull’abbandono del concetto da parte di Engels ci limiteremo a fornire qualche indicazione che W. sembra deliberatamente ignorare. E’ noto che Engels elaborò lo schema introdotto nell”Origine della famiglia’ sotto la dichiarata influenza di Morgan (‘Ancient Society’, 1877), uno dei pionieri dell’antropologia sociale. In quell’opera Morgan aveva cercato di analizzare i caratteri di alcune grandi società pre-colombiane sulla base del suo schema a tre stadi ortodossamente evoluzionista: Stato selvaggio – Barbarie – Civiltà considerando tre invarianti per lui decisive: il tipo di proprietà, il tipo di famiglia, il tipo di Stato. Il passaggio dallo stato barbarico a quello “civile” fu interpretato da Engels  come il passaggio dalla società senza classi alla società classista. Ma le società pre-colombiane sembravano poco adatte a rientrare in questo schema: le classi dirigenti Inca, Maya e Azteche furono allora incluse in società rette da caste militari o pseudo-monarchie. I Basileis della Grecia pre-ellenica furono interpretati allo stesso modo. Come ha giust
amente sottolineato Maurice Godelier (‘Temps Modernes’, maggio, 1965) sia per Morgan che per Engels “era impossibile accettare l’idea che potesse svilupparsi una classe dominante e uno Stato all’interno di società tribali”. L’esistenza di una “democrazia militare” fu quindi vista come “l’ultima forma di organizzazione politica all’alba eroica del passaggio alla civiltà, cioè a una società classista”. Il tentativo unilinearista è evidente; non va, comunque dimenticato lo stato archeologico dell’epoca che restava frammentario. Con la scoperta di Troia e dopo gli scavi che misero in luce la società micenea fu possibile riconoscere a queste società dell’età del bronzo, i tratti tipici delle società asiatiche. (cfr.: Charles Parain, ‘Protohistoire méditerranéenne et mode de production asiatique’, in: ‘La pensée”, juin 1966; (8) W. cita nel Cap. ‘Ultime vicissitudini del modo di produzione asiatico’, Rasanov (1925), ‘Teoria di Marx sull’India e sulla Cina’; Bukharin: ‘Programma dell’Internazionale Comunista’ (1928) e infine la discussione (febbraio 1931 a Leningrado) a cui parteciparono attivamente Stalin, Godes e Yolj; (9) Tale posizione resta tuttora quella ufficiale in Urss]