“«Ritengo – ha sostenuto Colletti – che, nel complesso, sia stata proprio questa parte dell’opera di Marx [‘Il Manifesto’, ndr] quella che più ha fecondato positivamente la cultura moderna e contemporanea (…). L’attenzione primaria rivolta alle condizioni economiche dell’agire storico ci viene da lì. E da lì anche quella sorta di illuminazione “dal basso” della conoscenza, onde quest’ultima è stata spesso svelata non solo come veicolo inconsapevole di “interessi” (e perciò abbassata a ideologia), ma fatta anche materia di considerazione prospettica, che è l’aspetto per cui Marx ha aperto la via alla “sociologia della conoscenza”» (6). «Sotto questo aspetto il ‘Manifesto’ era già un documento che definiva il marxismo. Esso ne racchiudeva la visione storica, anche se o schema generale si sarebbe in seguito arricchito di analisi più complete» (7) . Inoltre l’apparato concettuale di cui si è detto viene pensato dagli autori del ‘Manifesto come discriminante fondamentale nei confronti «dei seguaci dei vari sistemi utopistici», delle «sette» socialiste, dei «molteplici ciarlatani sociali», così afferma Engels. «Nel 1847 – continua Engels – socialismo significava un movimento di borghesi, comunismo un movimento di operai. (…) E poiché noi avevamo già allora, e molto decisa, la convinzione che l’emancipazione degli operai deve essere opera della classe operaia stessa non potevamo dubitare neppure un istante quale dei due noi scegliere. E anche dopo non ci è mai venuto in mente di respingerlo» (8). D’altra parte quello che va dal 1839-’40 alla conclusione del ciclo rivoluzionario del ’48 è stato giustamente definito come il «decennio del comunismo» (9). Il termine cominciò ad avere una gran fortuna. La parola compare in tutte le principali lingue europee: lo «spettro» sembra materializzarsi. Dunque nel 1848 ci troviamo di fronte a un libro che per molti aspetti può essere considerato a struttura marxista, a un termine, “comunismo” che pare sul punto di affermarsi nella galassia “sovversiva”. Il termine scomparirà quasi nell’ultimo quarto di secolo. Il marxismo dovrà aspettare proprio quell’ultimo quarto per diventare il punto di riferimento fondamentale del socialismo. La storia culturale non procede per progressive e lineari filiazioni intellettuali. – Il marxismo come identità socialista. Georges Haupt, uno dei più acuti studiosi della II Internazionale, scrive che, dopo il Congresso internazionale di Bruxelles del 1891, Engels aveva maturato la convinzione secondo la quale era stato ormai tacitamente riconosciuto il postulato dell’identità di obiettivi tra il «marxismo rivoluzionario e i partiti operai moderni» (10). Haupt ci avverte che in realtà la base dell’accordo che permise la formazione della nuova Internazionale nacque su una molteplicità di ragioni legate al momento specifico di crescita e capacità d’incidenza delle forze operaie e/o socialiste in alcuni paesi europei. Nondimeno quelle organizzazioni, i partiti socialisti in particolare, ma qualche volta anche organizzazioni sindacali, indicarono nel marxismo la chiave culturale per dare senso alla loro prassi nel processo di emancipazione dei subalterni. Perché ciò avvenne e in tempi piuttosto brevi? Quali erano i punti di forza del marxismo di cui le organizzazioni avevano bisogno? Il problema va visto sia dalla parte dell’elaborazione teorica che dalla parte della crescita della resistenza sia sindacale che politica. Tra i molti aspetti della questione due sono certamente essenziali: 1864, nascita della I Internazionale; 1867 uscita del primo volume de ‘Il capitale’. Marx non ebbe nessun ruolo nella fondazione dell’Internazionale. Nei quasi tre lustri di soggiorno londinese egli si era tenuto, tranne i primissimi anni, sempre in disparte rispetto alle organizzazioni politiche degli emigrati. Dopo la conclusione dell’esperienza della “Lega dei Comunisti” temeva soprattutto la regressione settaria dei piccoli gruppi sganciati dalla realtà dei grandi movimenti sociali. Ciononostante all’interno di molti circoli operai politici e sindacali la sua fama di studioso dottissimo e di originale elaboratore di teorie che davano giustificazione scientifica ai movimenti di classe era piuttosto diffusa. Non era casuale il fatto che quei dirigenti della ‘Trade Unions’ che si accingevano in quel momento a stabilire collegamenti internazionali per rendere più efficace la loro azione rivendicativa cercassero la collaborazione di Marx onde meglio definire il quadro generale di riferimento concettuale della loro azione. Il Marx che non accettava inviti a far parte di alcuna associazione ora accetta immediatamente. La discriminante fondamentale per il ritorno al ruolo politico attivo era dunque quella di aver a che fare con “vere potenze”, cioè con un movimento operaio che avesse elaborato già del tutto autonomamente le logiche fondamentali della propria antitesi alle logiche del capitale” ] [Paolo Favilli, ‘Socialismo e comunismo’] [(in) AaVv, Orizzonti della contemporaneità. Religione e politica. Culture, ideologie, religioni, Libro 2. Volume 28, Milano, 2017] [(6) Lucio Colletti, ‘Prefazione a ‘Manifesto del partito comunista”, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 17; (7) E.J. Hobsbawm, ‘Introduzione a ‘Manifesto del partito comunista”, Milano, Rizzoli, 1998, p. 24; (8) F. Engels, ‘Prefazione all’edizione tedesca del 1890’, in ‘Manifesto del partito comunista’, a cura di E. Cantimori Mezzomonti, Torino, Einaudi, 1962, pp. 315-16; (9) B. Bongiovanni, ‘Postfazione a ‘Manifesto del partito comunista”, Torino, Einaudi, 1998, p. 123; (10) G. Haupt, ‘La II Internazionale’, Firenze, La Nuova Italia, 1968, p. 17]
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- Articolo pubblicato:7 Settembre 2017