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“Esaminiamo la questione da un altro lato, per chiarirla meglio. Il marxista non deve mai abbandonare il solido terreno dell’analisi dei rapporti di classe. Al potere c’è la borghesia. Ma i contadini non sono ‘anch’essi’ una borghesia d’un altro strato, d’un altro genere, d’un altro carattere? Da che cosa si deduce che ‘questo’ strato ‘non può’ arrivare al potere «portando a termine» la rivoluzione democratica borghese? Perché questo sarebbe impossibile? Così ragionano spesso i vecchi bolscevichi. Rispondo che questo è perfettamente possibile. Ma il marxista, per valutare una situazione, deve procedere dal reale e ‘non’ dal possibile. Ora la realtà ci addita il ‘fatto’ che i deputati dei contadini e dei soldati, liberamente eletti, entrano liberamente nel secondo governo, nel governo collaterale, lo integrano, lo sviluppano e lo perfezionano liberamente. E, non meno liberamente, ‘cedono’ il potere alla borghesia: fatto che non «contrasta» in alcun modo con la teoria marxista, poiché noi abbiamo sempre saputo e indicato più volte che la borghesia rimane al potere ‘non’ soltanto con la violenza, ma anche in virtù dell’incoscienza, dell’abitudinarismo, della passività e della disorganizzazione delle masse. (…) Non si rischia però di cadere nel soggettivismo quando si desidera «saltare» dalla rivoluzione democratica borghese ancora incompiuta – che non ha superato il movimento contadino – alla rivoluzione socialista? Se dicessi: «Niente zar, ma un governo ‘operaio’» incorrerei in questo pericolo. Ma io ‘non’ dico questo, dico tutt’altra cosa, dico che ‘non’ vi ‘può’ essere in Russia un altro governo (escluso il governo borghese) ‘se non’ i soviet dei deputati degli operai, dei salariati agricoli, dei soldati e dei contadini. Dico che oggi in Russia il potere può passare da Guckov e L’vov ‘soltanto’ a questi soviet, nei quali predominano ‘appunto’ i contadini, i soldati, predomina la piccola borghesia, per usare un termine marxista, scientifico, per usare una definizione di classe e non un’espressione corrente, filistea e puramente professionale. Nelle mie tesi mi sono ben premunito contro ogni tentativo di saltare al di sopra del movimento contadino o piccolo-borghese in generale, che non ha ancora esaurito le sue possibilità, contro ogni tentativo di ‘giocare’ alla «presa del potere» da parte di un governo operaio, contro ogni avventura blanquista, perché mi sono richiamato espressamente all’esperienza della Comune di Parigi. E quell’esperienza, come è noto e come Marx ha esaurientemente dimostrato nel 1871 e Engels nel 1891, escluse del tutto il blanquismo, garantì il dominio diretto, immediato e incondizionato della ‘maggioranza’ e l’iniziativa delle masse soltanto nella misura in cui questa maggioranza intervenne ‘coscientemente’. Nelle mie tesi ho ricondotto tutto, nel modo più esplicito, alla lotta ‘per l’influenza all’interno’ dei soviet dei deputati degli operai, dei salariati agricoli, dei contadini e dei soldati. E, per non lasciare in proposito nemmeno l’ombra di un dubbio, nelle tesi ho sottolineato ‘due volte’ la necessità di un lavoro di «spiegazione», paziente e tenace, che «si conformi ai bisogni ‘pratici delle masse’». Gli ignoranti o i rinnegati del marxismo, come il signor Plechanov e i suoi simili, possono gridare all’anarchia, al blanquismo, ecc. Chi vuole invece riflettere e imparare non può non capire che il blanquismo è la presa del potere da parte di una minoranza, mentre i soviet dei deputati operai, ecc. sono ‘notoriamente’ l’organizzazione diretta e immediata della ‘maggioranza’ del popolo. Un’azione ricondotta alla lotta per assicurare la propria influenza ‘all’interno’ dei soviet non può, ‘non può’ assolutamente, portare nel pantano del blanquismo. E non può condurre neanche nel pantano dell’anarchismo, perché l’anarchismo è la negazione della ‘necessità dello Stato e del potere statale’ nel periodo di ‘transizione’ dal dominio della borghesia al dominio del proletariato. Io ‘sostengo’ invece, con una chiarezza che esclude qualsiasi possibilità di malinteso, la necessità dello Stato in questo periodo, però, d’accordo con Marx e con l’esperienza della Comune di Parigi, non di uno Stato parlamentare borghese ordinario, ma di uno Stato ‘senza’ esercito permanente, ‘senza’ una polizia opposta al popolo, ‘senza’ una burocrazia posta al di sopra del popolo. (…)” [V.I. Lenin, ‘Lettere sulla tattica’ (scritte tra l’8 e il 13 (21 e 26) aprile 1917; pubblicate in opuscolo nell’aprile 1917)] [(in) ‘Ottobre 1917. 100 anni, 100 militanti della rivoluzione’, Edizioni Lotta Comunista, Milano, 2017, a cura di Gian Giacomo Cavicchioli] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]