“Il diritto di autodecisione delle nazioni era stato proclamato dal Partito Operaio Socialdemocratico Russo già nel suo manifesto inaugurale del 1898 che, nel punto 8 dichiarava, fra l’altro: «Il partito riconosce il diritto di ogni nazionalità all’autodecisione» (1) e veniva successivamente ribadito dal II Congresso che, nel punto 9 del programma, prevedeva il diritto di autodecisione per tutte le nazioni che fanno parte dello Stato (2). La spiegazione che Lenin dava di questo diritto era molto chiara. Per lui quel paragrafo del programma, sull’autodecisione delle nazioni, doveva essere interpretato nel senso dell’autodecisione politica, cioè del diritto di separazione e di costituzione di uno Stato indipendente. Tale posizione era coerente con l’analisi marxista sul destino delle nazioni in virtù dello sviluppo capitalistico: «In tutto il mondo, il periodo della vittoria definitiva del capitalismo sul feudalesimo fu connesso con movimenti nazionali. La base economica di questi movimenti sta nel fatto che per la vittoria completa della produzione mercantile è necessaria la conquista del mercato interno da parte della borghesia, l’unificazione politica dei territori la cui popolazione parla la stessa lingua, la soppressione di tutti gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo di questa lingua e il suo fissarsi nella letteratura» (3). La lingua era effettivamente una delle questioni su cui più insistevano i movimenti nazionali; Lenin, analizzando l’importanza di questo fattore dal punto di vista economico, sosteneva che la lingua era il mezzo più importante di comunicazione fra gli uomini e che l’unità della lingua e il suo libero sviluppo costituivano una delle premesse più importanti per una circolazione delle merci, realmente libera e vasta. Da queste esigenze Lenin derivava la spiegazione dello Stato moderno: «Ecco perché ogni movimento nazionale tende a costituire uno Stato nazionale che meglio corrisponda a queste esigenze del capitalismo moderno. Spingono a ciò i fattori economici più profondi: ecco perché in tutta l’Europa occidentale – o meglio in tutto il mondo civile – lo Stato nazionale è lo stato tipico e normale del periodo capitalistico» (4). Lenin riconosceva la nazione come necessità storica di una fase dello sviluppo economico, che rispondeva a determinati criteri; essa, pertanto, non solo non aveva nulla a che vedere con l’idea ebraica di popolo e di comunità, ma era anche diversa dall’idea di nazione, come entità culturale, che pure circolava negli ambienti socialdemocratici. Da questo derivava quella ristretta interpretazione del diritto di autodecisione del programma del POSDR da cui erano esclusi gli ebrei, che non potevano separarsi territorialmente. All’argomento principale usato da quei marxisti per negare agli ebrei i diritti delle nazionalità cioè la mancanza di territorio il Bund rispondeva proponendo l’autonomia nazional-culturale extraterritoriale, che significava il riconoscimento dell’autonomia a un gruppo etnico-culturale, a prescindere dal territorio di residenza dei suoi membri. A questo scopo dovevano essere istituiti alcuni organismi extraterritoriali preposti a rappresentare la nazione all’interno di uno Stato multinazionale e a gestire autonomamente le questioni culturali” [Massimo Pieri, ‘Doikeyt. Noi stiamo qui ora! Gli Ebrei del Bund nella Rivoluzione russa’, Milano, 2017] [(1) Manifesto del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, Ginevra, 1903, in ‘Resolutions and Decisions of the Communist Party of the Soviet Union’, p. 37; (2) 1° Convegno Generale del Partito Operaio Socialdemocratico Russo’, Ginevra, 1904, ibid., p. 41; (3) V.I Lenin, ‘Tesi sulla questione nazionale’ (1925), in Lenin, Opere complete, Roma, vol. XIX, 1967, p. 220; (4) ‘Sul diritto di autodecisione delle nazioni’ (‘Prosvescenie’, nn. 4,5,6, aprile-giugno 1914, in Lenin, Opere Complete, vol. XX, p. 379] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:25 Settembre 2017