“E bene ha fatto il Mormina-Penna a rilevare che la famosa teoria della miseria crescente ad un polo e della ricchezza crescente ad un altro polo enunziata da Marx in alcuni punti del ‘Capitale’, del ‘Manifesto dei Comunisti’ e nella ‘Miseria della Filosofia’ che rimonta al 1846 era stata formulata con molta chiarezza da Mazzini nel 1840 e 1844. Fra Mazzini e Marx poi, per apprezzarne rettamente la azione si deve tener conto di queste due notevoli circostanze differenziali: 1° Mazzini la vita sua consacrò a fare risorgere un popolo che sembrava morto; e quindi la sua azione doveva essere ‘prevalentemente’ politica. Marx non si preoccupò del compito nazionale e tutta la sua energia intellettuale la consacrò allo studio del problema economico. Con ciò non intendo neppur lontanamente menomare la figura del grande tedesco; ma constatare l’ingratitudine superlativa dei socialisti italiani che sconoscono ciò che devono a Mazzini. 2° Il momento storico, in cui principalmente esplicarono la loro azione quei due colossi fu diverso. Mazzini entra in azione all’incirca venti anni prima di Marx e doveva essere assorbito dal problema nazionale ch’era il più urgente e il più vitale – anzi il solo urgente e vitale. La soluzione di quel primo problema poteva rendere possibile la successiva discussione del problema sociale. Se non ostante le cure assorbenti della politica, Mazzini non ‘dimenticò un solo istante’ la questione economica, cui dedicò, non poche ‘frasi e incoscientemente’, ma tutta una serie di scritti e di proposte logicamente coordinati e insistentemente sostenuti per ‘quarant’anni’ consecutivi, ciò sta a dimostrare la grandiosità della sua mente, pari soltanto a quella del suo cuore. I socialisti, poi, si servono sempre della difesa della ‘proprietà privata’ fatta da Mazzini, con evidente malafede o con superlativa ignoranza, tacendo sempre che le origini e le modalità della proprietà difesa da Mazzini non sono quelle della proprietà di Rothschild. Tacciono che non solo alcuni Congressi socialisti francesi, ma anche Kautsky, il più autorevole interprete del marxismo, non esclusero la legittimità della proprietà privata colle origini e colle modalità di quella voluta da Mazzini, e non la ritennero incompatibile col socialismo collettivista. Oh! dove sono più collettivisti ‘totali’?  In favore della piccola proprietà, di quella forma di proprietà fecondata dal lavoro, che costituisce l’ideale e il programma di Mazzini, potrei riprodurre le decisioni di parecchi congressi socialisti francesi ed anche il parere di socialisti di altri paesi che non siano la Francia che per i superuomini del marxismo non fa testo; potrei anche addurre il parere di socialisti tedeschi della tendenza riformista e bernsteiana. Ma questi sono degli eretici. Affidiamoci, perciò, al San Paolo del marxismo contemporaneo, a Karl Kautsky. Nel volume: ‘La politique agraire du parti socialiste’ (Giard et Brière, Paris, 1902) riassumendo in ultimo la tattica che bisogna seguire verso i contadini comincia dal constatare che «ciò che li esaspera è l’espropriazione del suolo che essi credono una conseguenza inevitabile della vittoria del partito socialista; il contadino si vede già cacciato dalla sua casa, spogliato di tutto ciò che possiede in profitto dei pezzenti» (p. 201). E poi continua: «E’ l’agricoltura che deve disporre dei migliori mezzi di produzione e de’ migliori operai. Ma ciò non è sempre facile: ogni operaio agricolo può essere impiegato a qualche lavoro industriale, ma non vi è oggi che un piccolo numero d’operai industriali capaci di lavorare nell’agricoltura. Si può in verità sperare che si darà alla gioventù un’istruzione che la renda atta nello stesso tempo al lavoro industriale, agricolo e puramente intellettuale, ma questa speranza lontana non ci aiuterà a vincere la difficoltà del principio. In questa situazione gli operai agricoli ed i piccoli contadini che la società attuale tratta certamente da matrigna, saranno ricercatissimi e giungeranno ad una condizione sociale eccessivamente favorevole. ‘Come da quel tempo ammettere che un regime socialista caccerebbe i contadini dalle loro terre? Ciò sarebbe una follia ben più grande di quelle di cui ci gratificano gli avversari nostri meno scrupolosi e meno provvisti di buon senso’» (p. 205-206). «L’esistenza di qualche piccola coltivazione è così conciliabile con l’agricoltura nel regime socialista, come col mestiere. Ciò che si applica a questo, si applica a quello. ‘E’ molto indifferente che il suolo coltivato da queste piccole coltivazioni sia proprietà particolare o proprietà dello Stato’. Ciò che importa sono gli effetti economici e non le categorie giuridiche. L’esposizione fatta, non è insomma che un’ipotesi, non una profezia. Noi non diciamo ciò che sarà, ma ciò che potrebbe essere; i nostri avversari non sanno meglio di noi ciò che riserva l’avvenire; essi possono come noi appoggiarsi unicamente sui fattori già sufficientemente conosciuti, ma se prolunghiamo la loro azione nell’avvenire, giungeremo all’evoluzione testé descritta». «Le vedute e i desideri che il partito socialista ha espresso nelle sue dichiarazioni ufficiali e nei libri dei suoi più eminenti rappresentanti non sono per nulla in contraddizione colle conseguenze alle quali siamo giunti. ‘Non troviamo in nessun luogo alcuna domanda di espropriazione dei contadini’. Immediatamente prima della rivoluzione di marzo 1848, le autorità centrali della federazione comunista, nella quale erano Marx ed Engels, formularono «le rivendicazioni del partito comunista in Germania». Ecco i tre punti che si riferiscono all’agricoltura: «7° Il dominio principesco e gli altri domini feudali, le cave saranno trasformate in proprietà dello Stato. In questi domini si introdurrà, a profitto della collettività, la coltura in grande, coll’aiuto dei più recenti progressi della scienza». «8° Le ipoteche da cui son gravate le terre dei contadini son dichiarate proprietà dello Stato; i contadini ne pagheranno gli interessi allo Stato. «9° Nelle regioni ove il sistema dell’affitto è sviluppato, la rendita fondiaria o l’affitto sarà pagato allo Stato sotto forma d’imposta». «’Non vi è accenno a toccare i diritti di proprietà del contadino’. Le ipoteche che gravano le terre dei contadini sono nazionalizzate, ma non le terre stesse» (p. 207-208) … «Liebknecht considera come ‘pura follia l’espropriazione dei rurali’ fatta da un governo rivoluzionario». «Il rapido accrescimento dell’industria e del movimento proletario nei centri industriali respinse, dopo gli avvenimenti del 1870, la questione agraria, in ultima linea. La crisi dell’agricoltura la rimise all’ordine del giorno dei partiti proletari come dei partiti borghesi. Nella discussione che essa sollevò Engels prese alla sua volta la parola. Egli ripeté nel 1894 ciò che aveva detto nel 1848 e pose questa questione: «qual’è la nostra situazione di fronte ai piccoli contadini, e come dovremo trattarli il giorno che giungeremo al potere?», e rispose: «In primo luogo, io riconosco la perfetta giustezza di questa frase del programma francese: noi prevediamo la rovina inevitabile dei piccoli contadini ma noi non abbiamo per nulla la missione di sollecitarla col nostro intervento». «In secondo luogo è evidentissimo che se giungiamo al potere, ‘noi non potremo pensare ad espropriare violentemente i piccoli contadini’ (importa poco che ciò sia senza o con indennità) come saremo forzati a farlo per la grande proprietà. Il nostro dovere verso i piccoli contadini sarà primo di spingerli a trasformare la loro coltivazione privata, la loro proprietà privata, in coltivazione, in proprietà collettiva senza alcuna violenza, ma coll’esempio e l’incoraggiamento di cooperative agricole e noi abbiamo certamente molti mezzi per far comprendere ai piccoli contadini i vantaggi che essi possono già ottenere oggi». «Anche parlando dei grandi contadini, Engels dice: «Anche qui noi ci asterremo probabilmente da un’espropriazione violenta; noi possiamo d’altronde contare sul fatto che lo sviluppo econo
mico aprirà anche alla ragione quei cervelli tanto duri» (‘Neue Zeit’, XIII, p. 301, 305). «Queste citazioni concordano perfettamente colle considerazione che abbiamo esposte: queste mostrano che l’espropriazione dei contadini non sarà per nulla vantaggiosa pel socialismo; quelle provano nettamente che i socialisti non pensano affatto ad una simile espropriazione» (p. 210-211). «La base del socialismo moderno è la proprietà collettiva dei mezzi di produzione non quella dei mezzi di godimento. ‘Fra i godimenti che rendono la vita piacevole, il focolare domestico è uno dei più importanti se non il più importante’. Esso non è inconciliabile colla proprietà collettiva del suolo» (p. 212). «Il socialismo non cercherà dunque di spegnere il desiderio che ha ogni persona nel suo completo sviluppo di avere una casa sua; lo generalizzerà, al contrario, creando nello stesso tempo il modo di soddisfarlo. «Che il contadino non abbia dunque nessun timore per la sua casa. Il regime socialista v’imprimerà la sua traccia; ma le modificazioni che vi apporterà non nuoceranno per nulla al focolare domestico del contadino; lo renderanno più sano e più bello. In nessun luogo la decadenza della classe dei contadini  si manifesta più chiaramente come nelle loro case» (p. 217)” [Napoleone Colajanni, ‘Preti e Socialisti contro Mazzini’, Roma, 1903]