“Pur assumendo (…) come ipotesi generale quella della tendenziale contraddittorietà della scolarizzazione rispetto alle esigenze del sistema economico, è chiaro che nell’esaminare il fenomeno nel suo atteggiarsi concreto, con riferimento a specifici livelli di scolarità, come ad esempio, nell’analisi dello sviluppo della scuola secondaria di massa, bisogna essere consapevoli della sua doppia virtualità: di strumento di integrazione delle classi subordinate entro il sistema economico e sociale e di fattore di contraddizione e superamento del mercato del lavoro. E’ questa, del resto l’indicazione che ci viene da Marx, del quale, a questo punto, non è inutile, forse, rileggere il noto passo del ‘Capitale’, dedicato ai rapporti tra istruzione e sviluppo della grande industria: «(…) la grande industria con le sue stesse catastrofi impone come una questione di vita o di morte la necessità di riconoscere il cambiamento dei lavori e quindi la più grande versatilità dell’operaio quale legge universale della produzione, nonché la necessità di riconoscere l’adattamento delle circostanze alla normale esecuzione di tale legge. Essa fa sì che sia una questione di vita o di morte rimpiazzare l’obbrobriosa, universale popolazione operaia disponibile, tenuta in riserva per le varie necessità dello sfruttamento del capitale, con l’assoluta disponibilità dell’uomo per le varie esigenze di lavoro; rimpiazzare l’individuo parziale, semplice esecutore di una funzione di dettaglio, con l’individuo integralmente sviluppato, per il quale differenti funzioni sociali sono modi di attività che si scambiano liberamente. Un momento di questo processo di sconvolgimento sviluppatosi in maniera spontanea sulla base della grande industria sono gli istituti politecnici e di agronomia, un altro sono le «écoles d’enseignement professionel», nelle quali i figli degli operai ricevono i primi rudimenti in tecnologia e nell’uso pratico dei vari strumenti della produzione. Se la legislazione sulle fabbriche, prima concessione strappata dopo grandi lotte al capitale, non unisce al lavoro di fabbrica che l’istruzione elementare, l’inevitabile conquista del potere politico da parte della classe operaia riuscirà senz’altro a introdurre nelle scuole degli operai l’istruzione tecnologica teoria e pratica. Ed è altrettanto certo che la forma ‘capitalistica’ della produzione e le corrispondenti condizioni economiche degli operai siano in netta opposizione a tali fermenti rivoluzionari e al loro fine: ‘la soppressione dell’antica divisione del lavoro’. Ma lo sviluppo delle contraddizioni di una forma storica della produzione è l’unico mezzo che offra la storia per la sua dissoluzione e trasformazione» (8). Appare chiaro, in questo passo, che per Marx la diffusione di massa dell’istruzione superiore («tecnologica teorica e pratica» è nello stesso tempo un’esigenza della grande industria (per la quale «è questione di vita o di morte» disporre di una forza lavoro «versatile» e «integralmente sviluppata») e una contraddizione del sistema, un «fermento rivoluzionario», destinato in prospettiva a far dissolvere, insieme all’antica divisione del lavoro, la stessa forma storica capitalistica della produzione. Da un lato, dunque, Marx descrive la diffusione dell’istruzione all’interno di un quadro di iniziativa riformistica guidata dalla grande industria, che giunge – per questa via – ad eliminare la «obbrobriosa, universale popolazione operaia disponibile, tenuta in riserva per le varie necessità di sfruttamento del capitale». (L’istruzione, infatti, permette di forgiare una forza lavoro talmente mobile e versatile da rendere superato, ‘almeno in parte’ – come vedremo più oltre -, il meccanismo di fluidificazione dell’offerta di lavoro fondato sulla permanenza di un «esercito industriale di riserva»). Dall’altro lato, tuttavia, la diffusione dell’istruzione a quote via via crescenti di popolazione crea le premesse per una inevitabile rottura della divisione capitalistica del lavoro: sebbene Marx non approfondisca questa indicazione, sembra possibile ritenere che ciò avvenga tramite l”eccesso’ di popolazione istruita che si genera a seguito della crescita «su se stessa» della scolarizzazione. Assisteremo, cioè, al formarsi di una «sovrappopolazione istruita relativa», che, se in un primo periodo risulta funzionale alle esigenze della grande industria, cresce in seguito fino a divenire un elemento di squilibrio e di rottura dell’organizzazione capitalistica del lavoro. L’indicazione che ci viene da Marx, quindi, è che per comprendere fino a che punto il processo di scolarizzazione risponde ad un’esigenza di sviluppo del capitalismo e fino a che punto, invece, entra con esso in contraddizione, occorre analizzare storicamente il rapporto in cui tale processo si situa con i mutamenti osservabili nella entità e nel tipo della «sovrappopolazione relativa». Occorre, dunque, approfondire l’analisi in questa direzione. A questo scopo, è possibile proseguire «la rilettura» di Marx, introducendo una schematizzazione di comodo della evoluzione del mercato capitalistico del lavoro in tre fasi” [Massimo Paci, ‘Istruzione e mercato capitalistico del lavoro’, ‘Quaderni storici’, Ancona, 1. 1973] [(8) K. Marx, ‘Il Capitale’, Libro I, Quarta sezione, cap. XIII: “Macchinario e grande industria”, ed. Avanzini e Torraca, Roma, 1965, pp. 168-169]
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- Articolo pubblicato:18 Maggio 2017