“1. La prima, più ovvia esigenza per garantirsi la sicurezza e il dominio in un mondo di duri contrasti è quella di ottenere il controllo sul maggior numero possibili di fonti di materie prime, ‘quali che siano queste materie prime e comprendendo in esse nuove fonti potenziali’ (16). Il controllo sulle fonti di materie prime è ad un tempo una misura di protezione contro la pressione dei concorrenti, e un’arma di attacco per tenere in scacco i concorrenti non integrati. La proprietà e il controllo sulle fonti di materie prime è normalmente un prerequisito essenziale per consentire a un’azienda dominante o a un gruppo di aziende dominanti di limitare la nuova concorrenza e di controllare la produzione e i prezzi finiti. Inoltre, la dimensione stessa delle grandi aziende integrate verticalmente fornisce loro i mezzi per esplorare e sviluppare nuove risorse potenziali nel resto del mondo (17). La storia dell’industria petrolifera è naturalmente un esempio classico, ma il principio vale anche per l’alluminio, l’acciaio, il rame e altre industrie. 2. Lo schema operativo dell’industria manifatturiera di maggiore successo comprende la conquista dei mercati stranieri. Ciò vale anche quando si abbia un mercato interno così grande come quello degli Stati Uniti. Nell’industria automobilistica con mercato di massa, ad esempio, il mercato estero ha esercitato un’influenza rilevante fin dalle origini. Il sesto modello costruito da Ford fu affidato a un distributore canadese. Fin dal suo primo anno di vita la società Ford cominciò a stipulare accordi per precostituirsi propri mercati esteri (18). L’intensità di questa ricerca di mercati di esportazione varia da industria a industria e presenta differenti gradi di importanza nei differenti momenti di evoluzione industriale e nelle diverse fasi del ciclo economico. In ogni caso, ciò che deve essere sottolineato è il rilievo particolare che assume per l’industria la conservazione di questi mercati di esportazione. E’ a questo proposito estremamente pertinente l’affermazione di Lenin: «Segno caratteristico del capitalismo è l’aumento dello scambio delle merci così all’interno del paese come, specialmente, sul mercato internazionale. Nel capitalismo sono inevitabili le disuguaglianze e le discontinuità nello sviluppo di singole imprese, di singoli industriali, di singoli paesi» (21). (…) 3. L’investimento all’estero costituisce un metodo particolarmente efficiente per lo sviluppo e la protezione dei mercati esteri. La più evidente dimostrazione storica di questa affermazione è data dagli investimenti nel settore ferroviario, che stimolano la domanda di rotaie, locomotive, carrozze ferroviarie e altri prodotti dell’industria siderurgica e meccanica (23). (…) L’idea diffusa che la teoria dell’imperialismo dovrebbe riferirsi prevalentemente agli investimenti nei paesi sottosviluppati non è affatto corretta. La realtà è che le possibilità di investimenti redditizi in siffatti paesi sono limitate dalle stesse condizioni imposte dalle manovre dell’imperialismo. La domanda di mercato limitata e l’arretratezza industriale sono il risultato di strutture sociali ed economiche embrionali, unite alla trasformazione di questi paesi in fornitori di materie prime e di prodotti alimentari per le metropoli. Nostro compito non è qui quello di analizzare in modo esauriente tutti i fattori connessi agli investimenti all’estero, quanto piuttosto di avanzare la tesi che esistono ragioni evidenti, nell’età dell’imperialismo, per l’esplosione degli investimenti all’estero come conseguenza delle possibilità e delle spinte che ne derivano dall’ascesa del ‘big business’. E’ un fenomeno che non ha origine nella malizia dell’operatore economico ma nel normale funzionamento dell’attività economica nelle condizioni date. Le forme di questi investimenti dovrebbero essere esaminate nel loro contesto storico, alla luce della situazione reale in cui le società operano, piuttosto che nei termini astratti più consueti di pressione del ‘surplus’ di capitale (25). 4. La ricerca di opportunità per investimenti all’estero e il controllo sui mercati stranieri spinge l’attività politica nel campo economico ad un nuovo grado di intensità. Gli ultimi venticinque anni del XIX secolo vedono il fiorire di dazi protezionistici (26). Minacce, guerre, occupazioni coloniali sono strumenti politici ausiliari per assicurarsi una sufficiente influenza politica in una paese straniero al fine di ottenere un trattamento commerciale preferenziale, impadronirsi di concessioni minerarie, rimuovere gli ostacoli al commercio e agli investimenti, aprire le porte alle banche e ad altre istituzioni finanziarie che facilitino la penetrazione economica e l’occupazione. L’intensità e la forma dell’intervento politico sono ovviamente diverse. In paesi lontani e deboli è conveniente l’occupazione coloniale. In circostanze diverse appaiono adeguati la corruzione dei funzionari locali o i prestiti (per mezzo di banche o istituzioni statali) (27). Tra i paesi più avanzati si formano alleanze e accordi di compartecipazione. Ne risulta una rete di rapporti economici e politici che muta continuamente nel tempo per effetto di guerre, depressioni, saggi differenziati di industrializzazione (28). Anche le forme variano: colonie, semicolonie, le «più svariate forme di paesi asserviti che formalmente sono indipendenti dal punto di vista politico, ma che in realtà sono avviluppati da una rete di dipendenza finanziaria e diplomatica» (29), così come tra le potenze imperialistiche vi sono quelle antiche e quelle più recenti” [Harry Magdoff, ‘L’età dell’imperialismo’, Bari, 1971] [(16) E’ da osservare che le società giganti degli Stati Uniti impararono presto, in base all’esperienza, l’opportunità di controllare le loro forniture di materi prime (…); (17) Quando Lenin fornisce la sua spiegazione sul passaggio dalla libera concorrenza al monopolio, osserva: «La concentrazione ha fatto progressi tali che ormai si può fare un calcolo approssimativo di quasi tutte le fonti di materie prime (per esempio i minerali di ferro) di un dato paese, anzi, come vedremo, di una serie di paesi e perfino di tutto il mondo. E non solo si procede a un tale calcolo, ma le miniere, i territori produttori vengono accaparrati da colossali consorzi monopolistici» (‘L’imperialismo’, cit., p. 207). E oltre, nello stesso saggio: «Per il capitale finanziario sono importanti non solo le sorgenti di materie prime già scoperte, ma anche quelle eventualmente ancora da scoprire, giacché ai nostri giorni la tecnica fa progressi vertiginosi, e terreni oggi inutilizzabili possono domani essere messi in valore, appena si siano trovati nuovi metodi […] e non appena siano stati impiegati più forti capitali» (Ibid., p. 261); (18) M. Wilkins, F. E. Hill, ‘American Business Abroad, Ford on Six Continents’, Detroit, 1954, p. 1; (21) ‘L’imperialismo’, cit., p. 24; (23) (25) (…); (27) Per la documentazione e l’analisi vedi G.W. Hallgarten, ‘Imperialismus vor 1914’, Monaco, 1963 e H. Feis, ‘Europe. The World’s Banker, 1870-1914’, New York, 1965; (28) Sulla questione del saggio ineguale di sviluppo: «Così, attorno al 1850, la Gran Bretagna si trovava, rispetto alla maggior parte degli stati europei, nello stesso rapporto in cui, cinquanta anni dopo, l’Europa e gli Stati Uniti si trovavano rispetto all’Oriente e al Sud America», L.H. Jenks, ‘The Migration of British Capital to 1875′, New York, 1927, pp. 187-88; (29) Lenin, op. cit., p. 263. Si deve ricordare che Lenin respinge espressamente la definizione sostenuta da Kautsky che limita l’imperialismo all’acquisizione di colonie fornitrici di materie prime, cioè al tentativo di parte dei paesi capitalistici industrializzati di controllare e annettere regioni agricole. Lenin affronta questo punto con riferimento alle condizioni esistenti prima e durante la prima guerra mondiale: «E’ caratteristica dell’imperialismo appunto la sua smania ‘non soltanto’ di conquistare territori agrari, ma di metter mano anche su paesi fortemente industriali (bramosie della Germania sul Belgio, della Fra
ncia sulla Lorena), giacché in primo luogo il fatto che la terra è già spartita costringe, quando è in corso una ‘nuova spartizione’, ad allungare le mani su paesi di ‘qualsiasi genere’, e, in secondo luogo, per l’imperialismo è caratteristica la gara di alcune grandi potenze in lotta per l’egemonia, cioè per la conquista di terre, diretta non tanto al proprio beneficio quanto a indebolire l’avversario e minare la ‘sua’ egemonia (per la Germania, il Belgio ha particolare importanza come punto d’appoggio contro l’Inghilterra; per questa a sua volta è importante Baghdad come punto d’appoggio contro la Germania, ecc.)». Ivi, p. 268] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]