“Fino al XVIII secolo quasi tutti i popoli dell’Europa moderna si erano sottomessi volontariamente alla legge che veniva loro imposta da un ristretto numero di nobili o addirittura da un singolo principe sovrano. Pochi individui governavano le masse cosicché vigeva incontrastato il principio minoritario. Nell’antichità le cose non erano andate diversamente. In Oriente, il principio minoritario era giunto quasi ovunque fino al dispotismo e presso quasi tutti i popoli le masse, spesso ridotte in schiavitù, obbedivano alle leggi del loro signore. Anche se Greci e Romani, durante certi periodi della loro storia, furono essi stessi liberi, il principio minoritario venne tuttavia da loro applicato rigidamente nei paesi dove estesero il loro dominio. La minoranza romana diede le leggi al mondo. Il principio minoritario è il problema più interessante che la storia ci propone. Come tutti i grandi problemi esso non venne considerato tale per molto tempo. Per secoli era stato per gli uomini tanto naturale piegarsi al potere della minoranza, al quale non potevano sfuggire, che essi non si chiedevano neppure perché pochi individui dovessero avere il sopravvento sulle masse. Quando finalmente si fece strada il concetto di sovranità popolare esso fu accolto con tanto entusiasmo che, in un primo tempo, nessuno si chiese perché non si fosse affermato fin dal principio. «Il popolo dormiva, ma si è svegliato e d’ora innanzi il potere sarà tenuto dalle masse». L’opinione pubblica si accontentò di questa affermazione che veniva diffusa dagli oratori del tempo. Il concetto di sovranità popolare, che in un primo tempo era stato elaborato da pensatori della borghesia, acquistò maggiore significato per merito degli uomini di pensiero del proletariato che si sentivano i veri rappresentanti delle masse popolari. Pure sarebbe vano attendere da loro la spiegazione dell’essenza del principio minoritario in quanto ad essi importava soprattutto affermare, senza possibilità di equivoco, che soltanto il popolo era chiamato al potere. Le loro indagini intorno al potere miravano soltanto al tale fine. Il discorso di Lassalle ‘La natura della Costituzione’ con il quale egli iniziò la sua rivoluzione e che si sarebbe potuto chiamare “La natura del potere” fa parte di queste indagini intorno alla realtà politica del momento. A questo tipo di ricerche appartiene anche l’interpretazione materialistica della storia fatta da Marx il quale analizza il divenire storico del potere. Ma queste brillanti esposizioni non ci devono ingannare: esse lasciano sempre inspiegata l’essenza del problema del potere. All’inizio del suo discorso Lassalle afferma che il re di Prussia è uno dei poteri reali. Egli sfiora così il problema dell’accentramento del potere ma prosegue senza fermarsi ad analizzarlo. Più a lungo egli si ferma ad analizzare il potere materiale delle armi. Mentre chiama «pezzo di carta» la costituzione prussiana, dice che i cannoni sono «un fondamento della costituzione», cioè una parte reale del potere. Lassalle accusa violentemente la democrazia di avere perduto il tempo quando, nel 1848, volle elaborare la costituzione invece di impadronirsi dei cannoni, cosa che avrebbe potuto fare facilmente. Ma sarebbe stato davvero così facile conquistare allora i cannoni? Prima si avrebbe avuto a che fare con i cannonieri che erano fedeli al re. Il momento adatto per la conquista dei cannoni venne, per il popolo, settant’anni più tardi quando il re di Prussia, dopo il crollo dell’impero, aveva cessato di essere una forza effettiva. Quando il principe governa con la forza delle armi, governa mediante il potere spirituale che esercita su coloro ai quali le armi sono affidate: questo potere spirituale è la ‘chiave’ del suo potere materiale. Lassalle non ha cercato di analizzare questo potere chiave; perciò non solo non ci ha spiegato quale sia la natura del potere ma non ha neppure impostato il problema. Anche Marx, nella sua interpretazione materialistica della storia, non è giunto a tanto. Consentiamo con lui quando afferma che, nei secoli che seguono la colonizzazione di un territorio, il ruolo determinante è svolto dalla proprietà fondiaria mentre il capitale acquista un ruolo determinante nell’era industriale, ma non siamo più d’accordo quando dice che, nel primo periodo, principi, nobiltà e clero erano potenti perché possedevano le terre e che gli imprenditori sono potenti perché dispongono di capitali. Egli avrebbe dovuto prima spiegarci come mai il possesso, che aveva un ruolo determinante, non si trovasse nelle mani delle grandi masse, invece non ha neppure tentato di farlo. Che cosa ha dato a poche persone il ‘potere chiave’ mediante il quale esse conquistarono il possesso che garantiva loro un ruolo determinante? Questo è il punto importante da chiarire. (…) Lassalle e Marx, come i pensatori della borghesia liberale del loro tempo, non furono in grado di analizzare il problema del potere perché mancava loro un concetto chiaro di esso” [Friedrich Von Wieser, ‘Opere’, Milano, 2010] [“Friedrich von Wieser appartiene al gruppo, dapprincipio abbastanza ristretto, dei protagonisti della cosiddetta «rivoluzione marginalistica». Una rivoluzione il cui maggior titolo potrebbe essere nell’incruenza dell’esito” (dall’introduzione)] [ISC Newsletter N° 81] ISCNS81TEC [Visit the ‘News’ of the website: www.isc-studyofcapitalism.org]
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- Articolo pubblicato:16 Maggio 2017