“Che cosa aveva in sé di tanto importante lo «stupendo» libro di Darwin? Io penso soprattutto due cose: 1. Darwin aveva raccolto un materiale enorme, da cui discendeva la conclusione inevitabile che gli esseri viventi contemporanei si erano sviluppati da poche forme anteriori, più semplici. Darwin lasciò aperto il problema se gli esseri viventi si fossero sviluppati da una o più origini distinte. Oggi sappiamo che ci fu una sola origine, giacché tutti gli esseri viventi utilizzano lo stesso codice genetico, per la cui forma non è riconoscibile alcuna necessità stringente. 2. Darwin aveva nominato un meccanismo che rendeva possibile tale storia: la «selezione naturale». Molti tra i figli degli organismi superiori muoiono ‘prima’ di raggiungere l’età della riproduzione; quelli che sono meglio adattati alle richieste di un ambiente ostile e mutevole sopravvivono invece sino alla maturità sessuale, si riproducono e trasmettono i loro caratteri favorevoli alla discendenza. Darwin descrisse questa scoperta nella sua ‘Autobiografia’ (1967, p. 63):«Nell’ottobre 1838, vale a dire quindici mesi dopo che avevo iniziato la mia ricerca sistematica, mi capitò di leggere per svago l’opera di Malthus ‘Sulla popolazione’, e siccome la lunga consuetudine ad osservare i costumi degli animali e delle piante m’aveva ben preparato a valutare adeguatamente la lotta per l’esistenza, che non sosta mai e in nessun luogo, sorse in me improvvisa l’idea che in simili circostanze le variazioni favorevoli sarebbero state tendenzialmente conservate e quelle sfavorevoli distrutte. Risultato di ciò doveva essere la formazione di nuove specie. Ecco come alla fine ebbi a disposizione un’ipotesi di lavoro». Nell”Essay on the Principle of Population’ (Saggio sul principio di popolazione; del 1798 è la prima edizione, cui seguirono molte ristampe) Malthus si era posto la domanda del perché la popolazione di un determinato paese aveva in un periodo determinato una determinata grandezza e non fosse invece più o meno estesa. E aveva risposto che una popolazione cresce sempre al massimo delle sue possibilità. Solo la morte per fame poneva dei limiti a una popolazione, poiché il numero delle nascite non poteva essere regolato artificialmente. Engels congetturò giustamente che Malthus avesse esercitato un’influenza su Darwin (1978, p. 51): «Darwin non sapeva quale amara satira scrivesse sugli uomini, ed in particolare sui suoi compatrioti, quando dimostrava, che la libera concorrenza, la lotta per l’esistenza, che gli economisti esaltano come il più alto prodotto storico, sono lo stato normale del ‘regno animale’. Solo un’organizzazione cosciente della produzione sociale nella quale si produce e si ripartisce secondo un piano, può sollevare gli uomini al di sopra del restante mondo animale sotto l’aspetto sociale di tanto, quanto la produzione in generale lo ha fatto per l’uomo come specie…». Engels aveva forse in mente una lettera che Marx gli aveva scritto un decennio prima, nel 1862 (18 giugno; ‘Opere’, vol. XLI, ‘Lettere 1860-1864’, p. 279): «Mi diverto con Darwin, al quale ho dato di nuovo un’occhiata, quando dice d’applicare la «teoria del Malthus» ‘anche’ alle piante e agli animali, come se il succo del signor Malthus non consistesse proprio nel fatto che essa ‘non’ viene applicata alle piante e agli animali, ma invece – con geometrica progressione – soltanto agli uomini, in contrasto con le piante e gli animali. E’ notevole il fatto che, nelle bestie e nelle piante, Darwin riconosce la sua società inglese con la sua divisione del lavoro, la concorrenza, l’apertura di nuovi mercati, «le invenzioni» e la malthusiana «lotta per l’esistenza». E’ il ‘bellum omnium contra omnes’ di Hobbes, e fa ricordare Hegel nella «Fenomenologia», dove raffigura la società borghese quale «regno animale ideale», mentre in Darwin il regno animale è raffigurato quale società borghese». In seguito, per esempio, in un saggio intitolato ‘Die Entwicklung des Sozialismus von der Utopie zur Wissenschaft’ (‘L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza’), Engels utilizzò le metafore darwiniane senza ironia (1970, p. 103): «Il campo del lavoro divenne un campo di battaglia… Tra i singoli capitalisti, così come tra intere industrie e interi paesi, il problema della loro esistenza viene deciso dalle condizioni più o meno favorevoli della produzione, che possono essere naturali o artificiali. Chi soccombe viene eliminato senza nessun riguardo. E’ la lotta darwiniana per l’esistenza dell’individuo, trasportata, con accresciuto furore, dalla natura alla società. Il punto di vista dell’animale nella natura appare come l’apice dell’umano sviluppo. La contraddizione tra produzione sociale e appropriazione capitalistica si presenta ora come ‘antagonismo tra l’organizzazione della produzione nella singola fabbrica e l’anarchia della produzione nel complesso della società’». Marx sospettava che leggi simili determinassero la storia dell’uomo e degli organismi viventi. Egli non svolse peraltro mai esplicitamente questo concetto, ma vi accennò solo, per esempio nel 1867 nel volume I del ‘Capitale’ (1967, pp. 382-383): ‘Le caste e le corporazioni derivano dalla stessa legge di natura che regola la divisione delle piante e degli animali in specie e sottospecie, solo che ad un certo grado di sviluppo l’ereditarietà delle caste o l’esclusività delle corporazioni viene decretata come legge della società. Quali sono dunque le leggi naturali che devono operare ugualmente nella storia degli organismi viventi e nella storia dell’uomo? Esse sono le tre leggi fondamentali della dialettica tratte dalla ‘Scienza della logica’ hegeliana: 1) conversione della quantità in qualità; 2) compenetrazione degli opposti; e 3) negazione della negazione”  [Benno Müller-Hill, ‘I filosofi e l’essere vivente’, Milano, 1984]