“Respingendo come arbitrario il presupposto di “un’unità illusionale della storia d’Italia attraverso un gran numero di secoli”, Labriola assume dunque come filo conduttore ed intima connessione delle vicende della penisola la “genesi della società borghese”. Ne ravvisa l’esordio nell’età comunale, “preistoria di quella accumulazione capitalistica che Marx studiò con tanta evidenza di particolari nella serie chiara e compiuta dell’evoluzione dell’Inghilterra”, e, insieme, prima affermazione di un particolarismo che infrange la compagine universalistica medievale (la “comune coscienza indistinta d’un impero indefinitamente prolungato”) (17). Nello sviluppo dei comuni egli riconosce, così, “l’inizio di quella caratteristica di eventi cui siamo autorizzati a dare il nome di storia moderna”, e, sottolineando la precocità di tale cesura, ne pone in risalto gli elementi di continuità rispetto alla peculiare vicenda italiana: è sul tronco di una millenaria civiltà urbana che si innesta, prima che altrove, la fioritura borghese” (18). In questo senso, egli rileva come sia “unilaterale” e “non rispondente al caso dell’Italia” “ciò che nel ‘Manifesto’ è detto su la primissima origine della borghesia come nata dai servi del Medioevo” (19)(*); una più precisa ricostruzione di tale fase Labriola la attende da indagini specifiche, capaci di documentare come “il movimento economico e statistico trovi completo riscontro nei rapporti politici, e sufficiente illustrazione nello sviluppo contemporaneo dell’intelligenza, già ridotta in prosa, e spoglia in buona parte di illusioni ideologiche” (20). E’ tenendo presenti tali elementi nella loro globalità e reciproca implicazione che Labriola delinea la formazione della borghesia: ceto di mercanti e di banchieri, marginale nelle società antiche, marginale ma tenacemente resistente nel Medioevo (21), essa ‘si fa classe’ avviando, in età comunale, il processo di accumulazione ed affermando, nel 1300-1400, la propria identità politica, sociale, culturale, la propria ‘Weltanschauung’ laica e profana che “sconvolge e lacera” ogni sacralità feudale (22). In una prospettiva siffatta, i riferimenti all’analisi marxiana, che pure sono indubbiamente presenti, finiscono per assumere un carattere sfumato; essi sembrano costituire lo sfondo concettuale della ricerca labrioliana piuttosto che circoscriverne lo specifico oggetto (23)” [Amina Crisma, ‘Antonio Labriola e la storia d’Italia’, Italia Contemporanea, Milano, n. 149, dicembre 1982] [(17) A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 349. Cfr. Giuseppe Galasso, ‘L’Italia come problema storiografico’, Torino, Utet, 1979, p. 184-188; (18) A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp, 336-337; (19) A. Labriola, ‘La concezione materialista’, cit., p. 54. Cfr Karl Marx-Friedrich Engels ‘Manifesto del partito comunista’, Torino, 1962, p. 116 (*). Cfr. Carlo Cattaneo, ‘Della formazione e progresso del Terzo Stato’, nella ed. degli ‘Scritti storici e geografici’, a cura di G. Salvemini, Firenze, Le Monnier, 1956-57, vol. II, p. 352; (20) A. Labriola, ‘La concezione materialistica’, cit., p. 274; Id. Storia, filosofia della storia, sociologia e materialismo storico’, in ‘Saggi sul materialismo storico, a cura di Valentino Gerratana e Augusto Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1964, pp. 324; G. Del Bo, Corrispondenza, cit. p. 544; (21) A. Labriola, ‘La concezione materialistica, cit. p. 274, Id. Storia, filosofia della storia, cit., p. 329; (22) A. Labriola, La concezione materialistica’, cit., p. 274; (23) A. Antonio Labriola, ‘Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV. Considerazioni retrospettive e presagi’, ricostruzione di Luigi Dal Pane, Bologna, Cappelli, 1925, p. 54, Cfr. Karl Marx, Il Capitale, a cura di Delio Cantimori, Roma, Editori Riuniti, 1974, vol. I, pp. 179, 196, 197, 188] [Ndr (*): «Ogni società si è basata finora, come abbiam visto, sul contrasto fra classi di oppressori e classi di oppressi. Ma, per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava. Il servo della gleba, lavorando nel suo stato di servo della gleba, ha potuto elevarsi a membro del comune come cittadino minuto, lavorando sotto il giogo dell’assolutismo feudale, ha potuto elevarsi a ‘borghese’. Ma l’operaio moderno, invece di elevarsi man mano  che l’industria progredisce, scende sempre più al disotto delle condizioni di vita della sua propria classe. L’operaio diventa povero, e il pauperismo si sviluppa anche più rapidamente che la popolazione e la ricchezza» (p. 115-116) (K. Marx – F. Engels, Il Manifesto, Torino, 1962)]