“(…) La borghesia inizia con un proletariato che è un resto del proletariato dei tempi feudali. Nel corso del suo sviluppo storico, la borghesia svolge necessariamente il suo carattere antagonistico, che all’inizio si trova ad essere più o meno dissimulato, non esistendo che allo stato latente. A misura che la borghesia si sviluppa, si sviluppa anche nel suo seno un nuovo proletariato moderno; si sviluppa una lotta fra la classe proletaria e la classe borghese, lotta che, prima di essere sentita dalle due parti, individuata, valutata, compresa, ammessa e proclamata ad alta voce, non si manifesta all’inizio che attraverso conflitti parziali e momentanei, attraverso episodi di sovversivismo. D’altra parte, se tutti i membri della moderna borghesia hanno i medesimi interessi in quanto formano una classe contrapposta a un’altra, hanno però interessi opposti, antagonistici, in tanto in quanto si trovino gli uni di fronte agli altri. Questa opposizione di interessi deriva dalle condizioni economiche della loro vita borghese. Di giorno in giorno diventa dunque più chiaro che i rapporti di produzione, entro i quali si muove la borghesia, non hanno un carattere unico, semplice, bensì una carattere duplice; che negli stessi rapporti entro i quali si produce la ricchezza, si produce altresì la miseria; che entro gli stessi rapporti nei quali si ha sviluppo di forze produttive, si sviluppa anche una forza produttiva di repressione; che questi rapporti producono la ‘ricchezza borghese’, ossia la ricchezza della classe borghese, solo a patto di annientare continuamente la ricchezza dei membri che integrano questa classe, e a patto di dar vita a un proletariato ancora crescente. Più il carattere antagonistico viene messo in luce, più gli economisti, i rappresentanti scientifici della produzione borghese, si imbrogliano con le loro stesse teorie; e nascono diverse scuole. Abbiamo così gli economisti ‘fatalisti’, che nella loro teoria sono indifferenti a ciò che essi chiamano gli inconvenienti della produzione borghese, esattamente nella stessa misura in cui lo sono, nella pratica, i borghesi, quando si trovano di fronte alle sofferenze dei proletari, che pur li aiutano ad acquistar le loro ricchezze. In questa scuola fatalista vi sono i classici e i romantici. I classici, come Adam Smith e Ricardo, rappresentano una borghesia che, lottando contro i resti della società feudale, non opera che per epurare i rapporti economici dai residui feudali, per aumentare le forze produttive e dare un nuovo respiro all’industria e al commercio. Il proletariato che partecipa a questa lotta, assorbito in questo lavoro febbrile, non ha che le sofferenze accidentali, passeggere, che esso stesso considera come tali. Gli economisti come Adam Smith e Ricardo, che sono gli storici di quest’epoca, non hanno altra missione se non quella di dimostrare come la ricchezza si acquisti entro i rapporti di produzione borghesi, di formulare in secondo luogo questi rapporti in categorie e in leggi, di dimostrare infine quanto questo leggi, queste categorie, siano, per la produzione delle ricchezze, superiori alle leggi e alle categorie della società feudale. La miseria, ai loro occhi, non è che il dolore che accompagna ogni parto, nella natura come nell’industria” [K. Marx, ‘La miseria della filosofia. Risposta alla «Filosofia della miseria» del signor Proudhon’, Edizioni Rinascita, Roma, 1949, pp. 98-99] [(in) ‘Il socialismo’, a cura di Vito Porcelli’, Messina-Firenze, 1974]
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- Articolo pubblicato:16 Gennaio 2017