“Una classe nella quale si concentrano gli interessi rivoluzionari della società, non appena si è sollevata trova immediatamente nella sua stessa situazione il contenuto e il materiale della propria attività rivoluzionaria: abbattere i nemici, prendere misure imposte dalle necessità stesse della lotta. Le conseguenze delle sue proprie azioni la spingono avanti. Essa non inizia indagini teoriche sui suoi compiti. La classe operaia francese non si trovava a questa altezza: essa era ancora incapace di fare la sua propria rivoluzione. Lo sviluppo del proletariato industriale è condizionato, in generale, dallo sviluppo della borghesia industriale. E’ soltanto sotto il dominio della borghesia industriale che il proletariato industriale acquista quella larga esistenza nazionale, la quale rende nazionale la sua rivoluzione; crea i moderni mezzi di produzione, i quali diventano in pari tempo i mezzi della sua emancipazione rivoluzionaria. Solo il dominio della borghesia industriale strappa le radici materiali della società feudale e spiana il terreno, sul quale solamente è possibile una rivoluzione proletaria. L’industria francese è più evoluta e la borghesia francese più rivoluzionaria che quella del resto del continente. Ma la rivoluzione di febbraio non era diretta immediatamente contro l’aristocrazia finanziaria? Questo fatto provava che non era la borghesia industriale che dominava in Francia. La borghesia industriale può dominare soltanto là dove l’industria moderna foggia a propria immagine tutti i rapporti di proprietà, e l’industria può raggiungere questo potere solo quando ha conquistato il mercato mondiale, perché i confini nazionali non bastano al suo sviluppo. Ma l’industria francese in gran parte si assicura lo stesso mercato nazionale solo mediante un sistema proibitivo più o meno modificato. Se il proletariato francese, per conseguenza, possiede a Parigi, nel momento di una rivoluzione, un potere di fatto e una influenza che lo spingono ad andare al di là dei suoi propri mezzi, nel resto della Francia è raccolto in singoli centri industriali isolati, e quasi sempre scompare in mezzo a una massa preponderante di contadini e di piccoli borghesi. La lotta contro il capitale nella sua forma moderna, sviluppata, nella sua fase culminante, la lotta del salariato industriale contro il borghese industriale, è in Francia un fatto parziale, che dopo le giornate di febbraio tanto meno poteva fornire il contenuto nazionale della rivoluzione, in quanto la lotta contro i metodi secondari di sfruttamento capitalistico, dei contadini contro l’usura ipotecaria, del piccolo borghese contro il grande commerciante, il banchiere e l’industriale, in una parola, contro la bancarotta, era ancora confusa nel sollevamento generale contro l’aristocrazia finanziaria in generale. Nulla di più spiegabile, dunque, che il tentativo da parte del proletariato parigino di difendere il suo interesse ‘accanto’ a quello borghese, invece di farlo valere come interesse rivoluzionario della società stessa. Nulla di più spiegabile del fatto che il proletariato lasciasse cadere la bandiera ‘rossa’ davanti a quella ‘tricolore’. Gli operai francesi non potevano né muovere un passo avanti, né torcere un capello all’ordine borghese prima che il corso della rivoluzione non avesse sollevato la massa della nazione che sta tra il proletariato e la borghesia, cioè i contadini e la piccola borghesia, contro questo ordine borghese, contro il dominio del capitale, non li avesse costretti ad unirsi ai proletari come a loro avanguardia. Solo attraverso la terribile disfatta di giugno gli operai potevano guadagnarsi questa vittoria” (da K. Marx, ‘Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850’, Roma, 1970, pp. 108-117) [(in) ‘Il milleottocentoquarantotto’, testi antologici a cura di Sergio Marconi, Messina Firenze, 1974]