“L’anno precedente alla prima edizione tedesca del ‘Capitale’, il biologo tedesco Ernst Haeckel, divulgatore di Darwin e appassionato di neologismi, fu il primo a utilizzare, nel 1866, il termine «ecologia». Troviamo tre occorrenze nella sua ‘Generelle Morphologie der Organismen’ (1866). Ecco come Haeckel definisce le relazioni tra gli organismi, tra l’economia umana e la natura: «Per ecologia intendiamo la scienza dei rapporti degli organismi con il mondo esterno, nel quale possiamo riconoscere in modo più ampio i fattori della lotta per l’esistenza». Marx non è un angelo ambientalista, un pioniere, senza sapere di esserlo, dell’ecologia. Per quanto non manchi di prendere parte all’entusiasmo produttivista del suo tempo, tuttavia non aderisce senza riserve alle «illusioni del progresso» denunciate qualche anno dopo da George Sorel. Fintanto che l’ambivalenza del progresso è determinata da un modo di produzione fondato sullo sfruttamento, progresso tecnico e progresso sociale non vanno necessariamente di pari passo. Al contrario, nel Libro I del ‘Capitale’ Marx scrive: «Ogni progresso nell’agricoltura capitalistica è un progresso non solo nell’arte di derubare l’operaio, ma nell’arte di derubare il suolo. Ogni progresso nell’incremento della sua fertilità per un certo periodo, è insieme un progresso verso la rovina delle sue sorgenti perenni» (1). Poiché «la produttività del lavoro è pure legata a condizioni naturali che non di rado diventano meno redditizie nella misura in cui la produttività – in quanto dipendente da condizioni sociali – aumenta. Di qui un movimento contraddittorio in queste diverse sfere: progresso in alcune, regresso in altre. Si consideri per esempio il puro e semplice influsso delle stagioni, da cui dipende la quantità della maggior parte delle materie prime, l’esaurirsi delle foreste, dei giacimenti di ferro e carbone, ecc.» (2). La silvicoltura fornisce un buon esempio della discordanza tra il tempo economico di rotazione del capitale e il tempo ecologico del rinnovamento naturale: «Il lungo tempo di produzione (…), e quindi la lunghezza dei suoi periodi di rotazione, fa della silvicoltura un ramo di industria privato e perciò capitalistico sfavorevole» (3). Cosciente delle pene della colonizzazione e delle mutilazioni del lavoro, Marx non vede dunque un autentico progresso che al di là del capitalismo: «Quando una grande rivoluzione sociale avrà preso possesso dei risultati dell’era borghese, dei mercati mondiali e delle forze moderne di produzione, e avrà sottoposto ogni cosa al controllo esercitato in comune da tutti i popoli più progrediti, solo allora il progresso dell’umanità cesserà di assomigliare a quell’orrenda divinità pagana, che beveva il nettare solo nei teschi dei nemici uccisi» (4). Un orrendo idolo pagano assetato di sangue! La denuncia dei miti del progresso è chiara e franca. E in attesa della grande rivoluzione sociale «tutti i progressi della civiltà, (…) ogni incremento delle forze produttive sociali (…) arricchiscono non l’operaio, ma il capitale. (…) Poiché il capitale è l’antitesi dell’operaio, quei progressi accrescono soltanto il potere oggettivo sul lavoro» (5). Sotto il segno del capitale, il progresso ideale non consiste alla fine che in un «cambiamento di forma di tale servitù» (6)” [Daniel Bensaïd, ‘Marx, istruzioni per l’uso’, Varese, 2010] [(1) K. Marx, ‘Il Capitale’, Libro I, p. 655; (2) Ibid., Libro III, p. 332; (3) Ibid., Libro II, p. 303; (4) K. Marx, ‘New York Daily Tribune’, 25 giugno 1853; (5) K. Marx, ‘Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica’, 1857-1858, cit., p.295; (6) K. Marx, ‘Il Capitale, Libro I, cit., p. 898]