“In quanto Marx descrive il capitalismo, scegliendo con valide ragioni il primo suo modello inglese, egli lega nella legge generale due ordini di fatti. Il fatto ‘condizionante’ è che il numero degli uomini capaci di lavoro e che non hanno riserva, dotazione, “provvista” di mezzi di produzione (o di consumo), sia sempre più grande. Il fatto ‘condizionato’ è che il totale del capitale di tutta la società (dunque comunque detenuto: «in una società intera questo limite sarà raggiunto soltanto nel momento in cui l’intero capitale sociale si troverà unito in una sola mano, sia di un unico capitalista che di una società di capitalisti» – Il Capitale, Libro 1°, Cap. XXIII, par. 2. Utet: pag 799; Editori Riuniti: pag 77 – ed ogni stato che compra lavoro di nullatenenti è una società di capitalisti), dunque, che ‘il totale del capitale sociale vada crescendo’. Quale in economia marxista la misura del capitale sociale totale? La stessa che serve a misurare il capitale individuale o aziendale: il quantitativo della massa di merci prodotto in uno stesso periodo: l’anno, per la vecchia suggestione delle forme agrarie di produzione che sono stagionali. Quindi il ‘fatto condizionato’ dalla legge generale di Marx, e che dobbiamo provare legato al fatto condizionante della proletarizzazione, dell’inurbamento, è il crescere degli indici del “prodotto nazionale”, avvenga ciò nella statistica statunitense o in quella sovietica, vinca l’uno o vinca l’altro paese la gara ignobile di questo aumento, che condiziona un’aumentata soggezione delle masse umane al Capitale. Vi è in Marx una opposta ‘legge generale della produzione comunista’? Quelli che davvero sono convinti che l’autore del ‘Capitale’ non abbia altro obiettivo che tracciare la descrizione dell’economia passata e presente come si è svolta e si svolge sotto i suoi occhi, e non si sia mai sognato di disegnare programmi e anticipazioni della società futura, risponderanno sicuri di ‘no’. Che dire di costoro e della loro sicumera se non il biblico: ‘habent oculos et non vident; habent aures et non audiunt?’. «La legge (la legge, o egregi signori, propria della società comunista) secondo la quale una massa ‘sempre maggiore’ degli elementi che costituiscono la ricchezza può, mediante il continuo sviluppo dei poteri collettivi del lavoro, essere procurata con un impiego di forza di lavoro ‘sempre minore’, tale legge (della società comunista, o ciechi e sordi) che pone l”uomo sociale’ (la specie umana comunista; ecco il personaggio di ‘Grundrisse’ 1859, a noi ben noto, che ricompare nel 1867 nel Capitale, Libro 1°, Cap. XXIII, par. 4. UTET: pag. 820; Editori Riuniti: pag. 96), in grado di ‘produrre con un lavoro minore’, si cambia nell’ambiente capitalistico – in cui non sono già i mezzi di produzione che si trovano al servizio del lavoratore, ma è il lavoratore che servo dei mezzi di produzione – ‘in una legge contraria’…». Adesso vediamo quale è la legge ‘contraria’, e se non leggiamo con un poco di allenamento dialettico, niente da fare. La legge contraria è quella del ‘capitalismo’. Ogni tanto Marx si ferma di colpo e riprende ‘senza avvertire’ enunciando un estremo della forma comunista. Noi non avremmo mai avuta la chiave per capire il senso diabolico del presente ingranaggio borghese se non avessimo tale chiave, noi non persone ma noi partito rivoluzionario, nella cognizione del futuro comunista. Altrimenti scendiamo al livello dei Palmiri, che in lunghi rapporti ogni tanto confessano che l’ottobre 1917 aprì un corso nuovo ‘per tutti’ al fine di aprire gli occhi ‘a loro’, o che sulle tracce di moccoli di Krusciov cercano a tentoni i caratteri che segnano nel settennio corrente, il passaggio dal socialismo al comunismo in Russia. Marx invece, prima di quei nuovi corsi, nomina anzitutto i caratteri della società comunista piena, e poi a quella luce potente denuda l’infamia della forma borghese. «… si cambia in una legge contraria, vale a dire che quanto più il lavoro guadagna in potenza, tanto più la condizione di esistenza del salariato, la vendita della sua forza, assumono un carattere precario». E qui continua, con le pagine classiche che non vorremmo ancora una volta trascrivere (ed ‘Avanti!’, 614, 15, 16, 17) in cui ricorre la frase «la legge che equilibra sempre il processo di accumulazione e quello della soprapopolazione relativa incatena l’operaio al Capitale più solidamente di quanto le catene di Vulcano legassero Prometeo alla sua rupe» (Utet: pag. 821; Editori Riuniti: pag. 97). L’immagine di Prometeo non è scelta a caso o per effetto retorico: come il rivoluzionario Prometeo aveva rubato a Giove il segreto del fuoco, il partito del moderno proletariato ha ‘rubata’ la cognizione dei caratteri della società comunista; questa è la sua prima arma, non una sterile analisi della natura della società dominata dal Capitale, e della sua schifosa cronaca giorno per giorno” [[Amadeo Bordiga], Il corso del capitalismo mondiale nella esperienza storica e nella dottrina di Marx, 1750-1990. Rapporto alle Riunioni di Cosenza, di Ravenna e di Piombino; ed anche di Torino e di Parma. Firenze, 1991]