“Luigi Dal Pane ha mostrato di avvertire, nella formazione più recente del suo pensiero, lo stimolo della moderna metodologia libera da preoccupazioni di origine idealistica. Egli, però, afferma decisamente la strumentalità delle storie speciali, le quali racchiuderebbero un’esperienza necessaria ma provvisoria. Da questo loro carattere proviene, secondo lui, “la fluidità dei confini tra un campo e l’altro, perché infine pensare un aspetto della storia è pensarla tutta”. Il Dal Pane, sostenendo che la storia economica ha tratto dalle scienze economiche le ragioni e i termini della sua figura come disciplina autonoma, richiama l’attenzione sulla “esigenza di una storiografia della civiltà trattata come storia del lavoro, inteso qui non soltanto come fattore della produzione, ma come unità della praxis” (8). Alla base del pensiero del Dal Pane non pare dubbio che debba ravvisarsi l’implicito riferimento al Marx dei ‘Manoscritti economico-filosofici’ del 1844, dove si legge la nota affermazione che “tutta la cosiddetta storia universale non è che la generazione dell’uomo dal lavoro umano” (9). Il Luzzatto, a sua volta, nel chiudere un’acuta rassegna delle ‘Tendenze nuove negli studi di storia economica’, del 1951, ammoniva, specialmente i giovani, a non “dimenticare che la storia economica è sempre e soprattutto storia dell’uomo” (10). A codesta affermazione sembra faccia eco Armando Sapori. “Tutte le volte – egli scrive – che al centro dell’indagine sta l’uomo, non possiamo prescindere da una complessità che costituisce unità; e soltanto arrivando a questa unità si fa opera di storia, ossia riproduzione di vita. E’ così che lo storico del diritto non può prescindere dal fenomeno economico e dallo stesso fenomeno letterario, e il letterato non può isolarne del tutto le manifestazioni dell’economia e quelle del giure. Lo storico dell’economia, però, ha, vorrei dire, oltre che l’interesse, il dovere più accentuato di inoltrarsi in altri campi, dacché si è affermata l’esistenza dell”homo oeconomicus’, cogliendo nel soggetto della storia un aspetto che si è ritenuto essenziale più ancora che prevalente. E’ vero, continua il Sapori, che l’uomo economico, come l’uomo religioso, l’uomo filosofo, e via dicendo, si sono dimostrate figure fittizie. Ma ciò non toglie che sia ancora grande l’attrattiva di polarizzarci sulla molla dell’interesse per renderci conto del comportamento del singolo e di quello dei gruppi di uomini che costituiscono la società, almeno la nostra società. Con il che non nego il valore dell’indirizzo storiografico detto del materialismo storico, a cui si deve, merito senza dubbio grandissimo, di avere consentito alla storia di elevarsi alla dignità di scienza, tenendo conto di valori, ossia di stimoli, oggettivamente ponderabili, e non già ad altri (alludo evidentemente all’indirizzo chiamato idealismo storico), la determinazione del cui peso è affidata prevalentemente alla sensibilità, ossia alla personalità dello storico. In realtà, come il buon medico muove dal rilievo dei fenomeni che riscontra oggettivamente sul paziente, e poi risale a tutta la figura del paziente, ad essa ispirandosi per l’interpretazione sintetica che è appunto la diagnosi, così lo storico deve fissare il piede sul terreno più consistente per muovere con maggiore sicurezza verso posizioni che, in definitiva, vanno raggiunte: in quanto soltanto di là si stenderà dinanzi al suo sguardo il vero panorama storico” (11)” [Leopoldo Cassese, ‘Storia economica. XIX lezione. Le fonti della storia economica dell’Ottocento. Il Regno di Napoli’, Roma, 1955] [(8) L. Dal Pane, ‘Storia economica e storia sociale’, in ‘Giornale degli Economisti’ e Annali di Economia’, 1952, p. 131 e seg.; (9) K. Marx, Opere filosofiche giovanili’, Ed. Rinascita, 1950, p. 268; (10) L. Luzzatto, ‘Tendenze nuove negli studi di storia economica’, in ‘Nuova Rivista Storica, a. XXXV (1951); p. 317; (11) A. Sapori, ‘Lezioni di storia economica’, Milano, Ed. ‘La Goliardica’, s.a., p. 6]
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- Articolo pubblicato:10 Dicembre 2015