“Le famiglie delle lavoranti a domicilio conducevano, come dimostra l’inchiesta, un’esistenza miserabile, stretta fra la miserie e le malattie, e questo gruppo sociale si caratterizza per un particolare ritardo nel passaggio a strategie di fecondità più restrittive, coerenti con le possibilità di miglioramento sociale offerte da un contesto urbano (26). Gli alti livelli di fecondità si coniugavano con la mortalità infantile, in un ciclo ininterrotto di nascite e morti, che, piuttosto che i modelli demografici protoindustriali, ricorda le osservazioni di Marx sui comportamenti riproduttivi del proletariato più povero (27). Non diverso il caso delle lavoratrici dell’ago descritte in un’inchiesta su Roma (28). Il caso dello ‘sweating system’ e della sua espansione nel primo Novecento costituisce un primo esempio utile a evidenziare la simultaneità e il parallelismo fra i processi di sviluppo delle fabbriche e l’espansione intorno a esse, di ampie aree di lavoro a domicilio nei settori a produzione non standardizzata dell’abbigliamento e dell’arredamento” [Alessandra Pescarolo, ‘Il lavoro a domicilio femminile: economie di sussistenza in età contemporanea’] [(in) ‘Tra fabbrica e società. Mondi operai nell’Italia del Novecento’, a cura di Stefano Musso, Annali Feltrinelli, XXXIII, 1997, Feltrinelli, Milano, 1999] [(26) M. Gribaudi, ‘Mondo operaio e mito operaio. Spazi e percorsi sociali a Torino nel primo Novecento’, Torino, 1987; (27) Secondo Marx i meccanismi della riproduzione proletaria creati dalle leggi dell’accumulazione capitalistica sono i seguenti: “non soltanto la massa delle nascite e dei decessi, ma anche la grandezza assoluta delle famiglie” erano “inversamente proporzionali al livello del salario”. Un comportamento “assurdo”, che ricordava la riproduzione in massa di alcune “specie di animali individualmente braccati”. K. Marx, Il capitale’, Roma, 1967, p. 704]