“L’origine dei “fasci dei lavoratori” si deve a Giuseppe Giuffrida di Catania, che fondò per primo un Circolo in città, nel 1890, con 600 iscritti. Presto sorsero in tutta l’isola, come un grande incendio che divampasse su una steppa secca. Nel periodo di massima espansione  sembra si giungesse a ben 300 Circoli con una massa di aderenti che vanno dai 200 ai 300 mila. Gioverà notare come i capi furono tutti giovani intellettuali e di provenienza dalla media borghesia: Bernardino Verro, possidente, Garibaldi Bosco, ragioniere, Nicola Barbato, medico, Giacomo Montalto, avvocato, e persino un principe di Baucina, Alessandro Tasca di Cutò. Le loro idee politiche erano socialiste, di un socialismo più o meno ortodosso a dire il vero. Ciò non significa che i “fascisti” siciliani fossero dei socialisti. Nelle loro manifestazioni vi era un miscuglio, una confusione di fedi del tutto curiosa. Non era difficile osservare accanto alle bandiere rosse e ai ritratti di Marx, quello del Re e talvolta della Madonna, mentre si andava all’assalto dei Municipi al grido di “Viva il Re e abbasso li capeddi!”. Tale mescolanza di sentimenti è rivelata anche dalla denominazione dei circoli, come: “Società patriottica Umberto I” di Centuripe; “I figli del lavoro”, di Scordia; il “Fascio della pace”, il circolo “Figli dell’Etna”, e persino “Francesco Crispi” a S. Biagio Platani. I Circoli svolgevano anche attività di mutuo soccorso con tentativi di cooperative, ben presto fallite (…). Sarà interessante far notare l’origine francese dell’organizzazione dei fasci, come dichiarò lo stesso Bosco: “E sul modello della Camera del Lavoro di Parigi che procurai di foggiare il Fascio diviso per sezione di arti e mestieri”. E’ difficile dare un giudizio esatto e comprensivo del fenomeno dei fasci siciliani. In un proclama alla Borghesia, pubblicato sul “Vespro”, il 7 gennaio 1889, si affermava: “Badino i Signori della borghesia che la miseria è la più grande istigatrice delle rivoluzioni e che se il popolo farà il centenario del 1789, lo farà intero, ed abbattendo come lava erompente dal vulcano tutti i privilegi”. E veramente si trattò piuttosto di eruzione vulcanica che di rivoluzione. Lo stesso Antonio Labriola, nel gennaio 1893, affermava: “Tutti questi fasci e Leghe di lavoratori sono delle burlette. Roba siciliana che è un romagnolismo peggiorato”. Intendeva alludere all’anarchismo. Tuttavia, sul finire dello stesso anno, scrivendo a Engels, mutava parere: “Questo dei Fasci è il secondo gran movimento di massa dopo quello di Roma del 1881 e certo con più fondamento di cause permanenti… E’ un gran fermento. Si rifà lo spirito rivoluzionario, l’iniziativa popolare, la coscienza nel lato senso della parola”. Questa massa di popolo, esasperata e sofferente, montata da una retorica rivoluzionaria, compì certamente gesti sovversivi e di tipo anarchico, incendi di sedi comunali, occupazioni di terre, falò di registri delle tasse ecc. Il movimento ebbe anche il suo poeta in Mario Rapisardi che esprimeva i sentimenti rivoluzionari del popolino (…)” [Aurelio Boschini, Il movimento operaio italiano, Roma, 1960]