“E ciò nel quadro di un indirizzo metodologico [Marx] tendente a stabilire un intreccio costante tra i “fattori economico-materiali oggettivi” e i “fattori storico-sociali” soggettivi (6), del resto in armonia con quella visione unitaria e complessiva della storia, capace di collegare insieme tutte le molteplici manifestazioni della vita sociale, che è alla base dell’intera opera di Marx. E’ in tale contesto generale che Colletti affronta la questione se esista o meno in Marx una teoria del “crollo” del capitalismo. La sua tesi – in ciò concordante con quella di Napoleoni (*) – è che in Marx è rintracciabile un embrione di teoria del “crollo” nella legge della caduta tendenziale del saggio di profitto: ma che, d’altra parte, tale processo non si configurerebbe come una semplice “tendenza oggettiva”, ed acquisterebbe una sua valenza solo come premessa reale della “lotta di classe, dello scontro a livello soggettivo”, il cui esito “non può essere prefigurato in anticipo” (7). Si tratta di una tematica assai complessa, che è stata oggetto di vive discussioni tra gli stessi studiosi marxisti contemporanei (8). In questa sede basterà sottolineare che chiedersi se e in quale misura vi fu in Marx una teoria del “crollo”, significa inevitabilmente sollevare una questione più generale, e cioè il rapporto tra il pensiero di Marx e la successiva elaborazione della Seconda Internazionale. E’ nota infatti la rilevanza che la teoria del “crollo” assunse all’interno del pensiero marxista nell’epoca della Seconda Internazionale come termine di confronto obbligato nella controversia sul revisionismo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900: la quale, se per un verso si concluse con la condanna formale delle tesi sostenute da Bernstein, rappresentò per l’altro la consacrazione ufficiale di una sorta di “dogmatica sclerotizzazione” del marxismo, insieme deterministica ed evoluzionistica, sulla base dell’interpretazione “ortodossa” di Kautsky (9). E’ nel marxismo di Kautsky infatti che si codifica  – in contrasto con le stesse basi del “metodo” di Marx (10) – la fondamentale preminenza nello sviluppo storico dell'”inevitabilità” delle leggi economiche, con l'”assolutizzazione del ruolo delle forze produttive nello sviluppo sociale, l’accento posto più sui problemi oggettivi che sulle contraddizioni che si aprono e di fronte alle quali diviene decisivo l’intervento dell’elemento soggettivo” (11). (…) In questo contesto generale, è sintomatico che la controversia sul revisionismo ed il ‘Bernstein-Debatte’ si polarizzassero intorno alla questione del “crollo” del capitalismo, e che momento centrale della discussione fosse la questione della possibilità o meno della fine del capitalismo per ‘ragioni economiche’. E fu principalmente su questo punto che si scontrarono da un lato le posizioni di Bernstein e dei revisionisti, che sostenevano la piena realizzabilità di un’evoluzione “pacifica” del capitalismo, sulla base della crescita ininterrotta delle forze produttive e della progressiva sparizione delle crisi periodiche, in un clima generale di crescente miglioramento del tenore di vita delle masse lavoratrici, e di una graduale estensione della democrazia politica e delle riforme sociali; e dall’altro, le tesi contrapposte degli “ortodossi”, incentrate sull’impossibilità per il capitalismo di espandere illimitatamente le forze produttive, sull’inevitabilità di crisi economiche sempre pià estese ed acute, sul progressivo peggioramento del tenore di vita della classe operaia, e sull’inizio di una nuova era caratterizzata da una generale acutizzazione dello scontro di classe e da conflitti sempre più rovinosi. E’ tuttavia interessante notare – se si astrae dalle posizioni espresse da Lenin nella polemica contro i populisti sulle prospettive di sviluppo del capitalismo in Russia (14) – la presenza di un singolare elemento di convergenza nelle tesi, pur così diverse, dei revisionisti e degli “ortodossi”, da ricercare nella centralità attribuita da entrambi alla questione del realizzo, in riferimento ai temi del sottoconsumo e della capacità di espansione (o della insufficienza) dei mercati. E ciò secondo un indirizzo assai riduttivo rispetto all’analisi marxiana, incentrata sull’individuazione del carattere antagonistico del mondo di produzione capitalistico direttamente nella sfera dell’estrazione del plusvalore piuttosto che in quella della circolazione delle merci…” [Claudio Natoli, Alcune considerazioni in tema di marxismo e “crollo” del capitalismo, (in) ‘Storia contemporanea, n° 3 giugno 1980] [(6) L. Colletti, Il marxismo e il “crollo” del capitalismo, cit., p. XXXIV; (7) Ibidem, p. XLI; (8) Cfr. ad es. M. Dobb, Economia politica e capitalismo, Torino, 1950, P.M. Sweezy, La teoria dello sviluppo capitalistico, Torino, 1970; (9) Cfr. E. Matthias, Kautsky e il kautskismo, Bari, 1971; (10) Ha scritto giustamente Korsch, che nella sua fase originaria la concezione della rivoluzione sociale in Marx è “intesa e applicata come totalità vivente. In questa fase, una suddivisione in singole discipline degli elementi economici, politici e spirituali di questa totalità vivente, per quanto sul piano storico tutte le particolarità concrete di ogni elemento vengano comprese, analizzate e criticate, non è neppure presa in considerazione. Naturalmente, non solo l’economia, la politica e l’ideologia, ma anche il divenire storico e l’azione sociale cosciente fanno parte di questa unità vivente di “prassi rivoluzionaria”. (…)”, cfr K. Korsch, Marxismo e filosofia, Milano, 1970, pp. 55-56. Nella stessa direzione; si veda anche la critica di G. Lukacs, ‘Storia e coscienza di classe, Milano, 1967, pp. 12-106; (11) A. Panaccione, L’analisi del capitalismo in Kautsky, in ‘Storia del marxismo contemporaneo’, Annali Feltrinelli, 1973, Milano, 1974, p. 7. Nella stessa direzione si muoveva in Russia la “restaurazione” del marxismo ortodosso da parte di Plechanov contro le deviazioni “soggettivistiche” dei populisti, sulla base della rivendicazione della preminenza nello sviluppo storico dei processi oggettivi che “si producono sotto l’influenza di una certa larvata necessità, agente ciecamente come gli elementi della natura, ma conformemente a leggi inesorabili”, cfr. G.V. Plechanov, La funzione della personalità nella storia, Roma, 1973, p. 57. Si veda anche G.V. Plechanov, La concezione materialistica della storia, Milano, 1972; (12) Cfr. L. Colletti, Bernstein e il marxismo della Seconda Internazionale, in L. Colletti, Ideologia e società, Bari, 1970, pp. 61-147; (…) (14) Ha scritto giustamente Cerroni che “si dà il caso che proprio negli anni ’90 … in un contesto problematico molto peculiare, il giovane Lenin abbia svolto argomentazioni che si muovono su una linea alternativa nei confronti sia di Bernstein che di Rosa Luxemburg e che sostanzialmente rilevano la novità di un capitalismo che stimola i bisogni e i consumi senza affatto concludere che la crisi del capitalismo è ormai impossibile. Al contrario Lenin accentua la possibilità di una crisi del capitalismo sottolineando non il tema del sottoconsumo ma quello dell’anarchismo della produzione e dello scompenso fra esigenze delle forze produttive e sistema dei rapporti di produzione”, Cfr. U. Cerroni, ‘Capitalismo, imperialismo e crescita del sistema’, in “Quaderni storici”, n. 20, 1972, pp. 490-91] [(*) Lucio Colletti, Claudio Napoleoni a cura, Il futuro del capitalismo. Crollo o sviluppo? Laterza, Bari, 1970 introduzioni dei curatori, ndr]