“Il primo tratto che colpisce l’attenzione del lettore della corrispondenza tra Marx e Ruge nel 1843  – come è stata pubblicata negli ‘Annali franco-tedeschi’ – è il contrasto tra il profondo pessimismo di Ruge e “l’ottimismo rivoluzionario” di Marx. Differenza dovuta soltanto ai due diversi “temperamenti”, o non piuttosto indice di significative divergenze di prospettiva? Ci sembra che questo contrasto possa essere spiegato solo a partire dalla seguente ipotesi: già nel 1843 Marx e Ruge si rivolgevano a ‘classi sociali differenti’. Nella sua risposta alla prima lettera di Marx (marzo 1843) – dove si parla in modo assai vago della “rivoluzione che abbiamo in prospettiva” -, Ruge si domanda: “Vivremo abbastanza per vedere una rivoluzione politica? ‘Noi’, i contemporanei di questi tedeschi?”. La parola chiave in questa frase che è il centro della differenza d’ottica del 1843, e che sarà il centro della rottura del 1844, è l’aggettivo qualificativo dato alla rivoluzione: “politica”. In effetti Ruge pensa sempre in termini di una rivoluzione “politica”, vale a dire ‘democratico-borghese’, e poiché constata “l’imperitura pazienza da montoni” dei borghesi tedeschi, la loro passività di fronte alla “ricaduta oltraggiosa dalla parola al silenzio”, e infine, “il livello di insensibilità e di scadimento politico in cui siamo caduti”, è perfettamente logico che non possa scorgere alcuna prospettiva rivoluzionaria in Germania: “Oh! questo avvenire tedesco? Dove ne è stato gettato il seme?” (lettera a Marx del marzo 1843). Marx, come Ruge, non crede a una rivoluzione diretta dalla borghesia tedesca. Nella sua risposta a Ruge (maggio 1843) egli scrive che i “borghesi filistei” (‘Spiessbürger’) non vogliono “essere uomini liberi repubblicani”, e che, come gli animali, vogliono soltanto “vivere e riprodursi”. Tuttavia, al contrario di Ruge, Marx pensa che, di fronte alla sconfitta della sua alleanza con la borghesia liberale, la filosofia può e deve trovare altri alleati: “il seme dell’avvenire” è stata lanciato, non in mezzo ai “montoni borghesi”, ma “nell’umanità sofferente”. La rivoluzione cui pensa non è puramente “politica”; essa trova il suo fondamento nella “rottura in seno alla società attuale”, rottura provocata dal “sistema del profitto e del commercio, della proprietà privata e dello sfruttamento dell’uomo” – formula ancora vaga ma nella quale Marx, per la prima volta, si riferisce alla moderna lotta delle classi e alle sue cause economiche”. Questo rende comprensibile “l’ottimismo” di questa lettera contro il “canto funebre” di Ruge: deluso dai “proprietari liberi”, Marx volge le sue speranze verso il popolo che soffre, espropriato e sfruttato” [Michael Löwy, La realtà rivoluzionaria nel giovane Marx, 1976]