“”Solo nel XVIII secolo, nella ‘società borghese’ – ha scritto Marx nella celebre ‘Einleitung’ del ’57 a ‘Per la critica dell’economia politica’ -, le diverse forme dei nessi sociali si presentano al singolo come un puro strumento per i suoi fini privati, come una necessità esteriore. Ma l’epoca che genera questo modo di vedere, il modo di vedere dell’individuo isolato, è proprio l’epoca dei rapporti sociali (generali da questo punto di vista) finora più sviluppati” (tr. it., Roma, 1969, p. 172). E’ singolare che questa concezione dell’individuo isolato sia stata sempre ripetuta e illustrata nel suo versante positivo, quello delle “robinsonate” che preparano la società borghese (tra le quali Marx pone lo stesso “contrat social” di Rousseau), ma che non si sia mai pensato di collegarla al principio radicale di critica che il ‘Discorso’ russoiano tenta di opporre alla società borghese in quanto forma generale – proprio nel senso liquidato da Marx – delle società. In Rousseau, certo, viene meno quell’elementare dialettica di ritrovamento e di ristabilimento dell’ordine naturale sul terreno sociale (con le possibilità di relativa determinazione storica a ciò connesse) che costituisce il presupposto di Locke e di Smith. (…) A dirlo schematicamente, l’individuo isolato dei “profeti del XVIII secolo” di cui parla Marx è una fondazione omongenea a una classe emergente e a una nuova storia. La borghesia deve rompere con la tenacissima storia data, con un assetto sociale che si è a sua volta stratificato e cristallizzato secondo uno spessore “naturale”, ed ha bisogno per questo di ritrovare un “punto di partenza” che abbia l’autorevolezza della natura, di ciò che è principio originario e norma costitutiva della storia stessa, al di là delle sue oscure cadute” [Mario Reale, Analisi dello stato di natura di Rousseau: Il perfetto equilibrio delle origini, La Rivista Trimestrale, n° 51 giugno 1977]