“(…) Cafiero esaltava ‘Il capitale’, interpretandolo quale momento di rottura nella storia dell’umanità. “Questo libro – diceva rettoricamente e fideisticamente – rappresenta il nuovo vero, che demolisce, stritola e disperde ai venti tutto un secolare edificio di errori e di menzogne. Esso è tutta una guerra. Una guerra gloriosa, e per la potenza del nemico, e per la potenza, ancora più grande, del capitano, che l’intraprendeva con sì grande quantità di nuovissime armi, di istrumenti e macchine di ogni sorta, che il suo genio aveva saputo ritrarre da tutte le scienze moderne”. Con sguardo infine rivolto all’Italia, Cafiero costatava come il processo di affermazione del capitalismo, analizzato da Marx nell’evoluta Inghilterra, fosse nel presente riconoscibile anche nella penisola, dove la piccola proprietà contadina e artigiana si stava “restringendo” e i suoi esponenti erano in via di proletarizzazione, per lasciare il campo alla “moderna accumulazione capitalistica”. Egli quindi leggeva ‘Il capitale’ – e voleva farlo leggere – nel modo più conforme alla sua vera essenza, di opera descrittiva e politica, non predestinante né prevedente, ma proponente una chiave d’interpretazione sociale e in pari tempo un programma politico, che per Marx si affiancava al piano immediato d’azione e di creazione politica del ‘Manifesto del partito comunista’, e invece per lui si sostanziava nella sua stessa descrizione di un processo storico nel lungo termine ineluttabile e chiaramente definibile. A parte quest’ultimo motivo, il ‘Compendio’ poteva esser ritenuto pienamente conforme all’originale: e Marx in persona seppe apprezzarne la validità interpretativa. Cafiero a Les Molières, ricevuti con ritardo alcuni esemplari del volume stampato da qualche settimana, il 23 luglio 1879 ne spedì due copie a Marx, a Londra, con una breve e gentile lettera di accompagnamento in italiano, in cui si scusava per non avergli sottoposto il manoscritto, essendo stato in ciò impedito dalle circostanze difficili e dal timore di vedersi “sfuggire un’occasione sfavorevole” per la stampa, grazie alla “benevolenza di un amico” (73), verosimilmente Enrico Bignami. Marx rispose in francese, non soltanto per ringraziare il giovane autore, che pur sapeva antagonista e legato al movimento libertario, ma anche per dichiarargli la “grande superiorità del suo lavoro” rispetto a opere analoghe apparse negli Stati Uniti e in Serbia (e si potrebbe aggiungere, anche in Germania, in quanto il contributo inglese non era altro che la traduzione del riassunto eseguito dal futuro anarchico Johann Most nel 1875 a Chemnitz); inoltre, collegandosi a quanto Cafiero aveva espresso nella premessa, lo invitava a continuare gli studi già tanto acutamente avviati (74). La parte centrale della lettera era impostata teoricamente, e Marx individuava nell’elaborato di Cafiero e nella premessa una “lacuna apparente”, per cui l’italiano connetteva l’emancipazione del proletariato unicamente allo svilupparsi e all’imporsi del capitalismo. Scriveva Marx: “Quanto al concetto della ‘cosa’, credo di non ingannarmi attribuendo alle considerazioni esposte nella vostra prefazione una lacuna apparente, vale a dire la prova che le ‘condizioni materiali’ necessarie per l’emancipazione del proletariato sono generate in modo spontaneo dallo sviluppo della produzione capitalistica”; per Marx invece era necessario qualcosa di più, cioè il formarsi di una coscienza di classe, che avrebbe consentito al proletariato di acquisire i dati sulla propria condizione e di conseguenza l’avrebbe indotto a organizzarsi per la rivoluzione. Ma, a questo punto Marx, nella lettera effettivamente spedita a Cafiero, si fermava, omettendo alcune righe che invece aveva inserito nella prima copia e che suonavano, continuando il periodo sopra riportato: “e della lotta delle classi che sfocia in ultima istanza nella rivoluzione sociale. Ciò che distingue il socialismo critico e rivoluzionario dai suoi predecessori è a mio parere precisamente questa base materialistica. Essa mostra che a un determinato grado dello sviluppo storico l’animale doveva trasformarsi in uomo”. Quando nel 1882 Cafiero si riavvicinò al socialismo evoluzionista accettando la tattica elettorale – seguendo in ciò l’esempio di Andrea Costa, anche se in modo meno clamoroso – si legò subito questa sua scelta allo studio teorico sul ‘Capitale’ degli anni precedenti: e questo avvenne non solo in Italia, ma anche in Svizzera, dove il collegamento venne stabilito dall’osservatore delle cose italiane sull’organo zurighese della socialdemocrazia tedesca, Emil Kerbs” (75)” [Gian Mario Bravo, “Il capitale” in Italia: 1867-1895] [(in) ‘La fortuna del “Capitale”‘ di Anna Valentinovna Uroeva, 1974] [(73) Lettera di Cafiero, da Les Molières, a Marx, 23 luglio 1879, in MEC, p. 285; (74) Lettera di Marx a Cafiero, 29 luglio 1879, ivi, p. 286: “Del resto, sono del vostro parere – se ho ben interpretato la vostra prefazione – che non bisogna sovraccaricare lo spirito delle persone che ci si propone di educare. Nulla vi impedisce di ritornare alla carica all’epoca opportuna per far risaltare maggiormente questa base materiale del ‘Capitale'”; (75) Riprende la notizia, traendola da ‘Der Sozialdemokrat, Zurigo, 27 aprile 1882, Ernesto Ragionieri, ‘Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani, 1875-1895’, Milano, 1861, p. 134]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:3 Marzo 2014