“”Il limite dell’emancipazione politica”, aggiunge poi Marx, “appare immediatamente nel fatto che lo ‘Stato’ può liberarsi da un limite senza che l’uomo ne sia ‘realmente’ libero, che lo Stato può essere un ‘libero Stato’ senza che l’uomo sia un ‘uomo libero'” (108). Analogamente avviene se lo Stato (come in molti Stati nord-americani) abolendo il voto per censo, annulla ‘politicamente’ le classi proprietarie della società civile: in questo modo “la proprietà privata non solo non viene soppressa ma essa viene addirittura presupposta” (109). Qui Marx esprime la chiara comprensione del fatto che la emancipazione politica (cioè la rivoluzione borghese) crea solo democrazia formale, che proclama diritti e libertà che non possono realmente esistere nella società borghese. Concretamente, nel linguaggio degli ‘Annali’ questo vuol dire: “Lo Stato sopprime alla sua maniera le differenze di ‘nascita’, di ‘condizione’, di ‘cultura’, di ‘professione’, dichiarando che nascita, condizione, cultura, professione non sono differenze politiche, proclamando ciascun membro del popolo partecipe in egual misura della sovranità popolare, senza riguardo a tali differenze, trattando tutti gli elementi della vita reale del popolo dal punto di vista dello Stato. Nondimeno, lo Stato lascia che la proprietà privata, la cultura, la professione ‘operino’ nel ‘loro’ modo, cioè come proprietà privata, come cultura, come professione e facciano valere la loro ‘particolare’ essenza. Ben lungi dal sopprimere queste differenze ‘di fatto’, lo Stato esiste piuttosto soltanto in quanto le presuppone, sente se stesso come ‘Stato politico’ e fa valere la propria ‘universalità’ solo in opposizione con questi suoi elementi” (110)” [György Lukacs, a cura di Angelo Bolaffi, Il giovane Marx, 1978] [(108) K. Marx, Sulla questione ebraica, Marx-Engels, Opere complete, v. III p. 164; (109) Ivi, p. 165; (110) Ivi, pp. 165-166)]
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- Articolo pubblicato:11 Marzo 2014