“Tra i marxisti dunque Gramsci si colloca rispetto a Machiavelli in una posizione particolare che è, in un certo senso, rivendicazione di filiazione, seppure mediata. E’ singolare invece che il Machiavelli non abbia trovato posto di una certa ampiezza nella letteratura marxista. Certo, si sa oggi che Marx annotò a lato con ammirazione le pagine che le ‘Storie fiorentine’ dedicavano alla rivolta dei Ciompi; Engels si riferisce con rispetto a Machiavelli nella ‘Dialettica della natura’. Ma sembra non esservi, nel pensiero marxista in generale, la piena consapevolezza o, per lo meno, l’adeguata valorizzazione di un fatto fondamentale: che con Machiavelli inizia il pensiero politico moderno, non solo nel senso che con lui comincia la teorizzazione dello Stato moderno, ma soprattutto nel senso che, con lui, la politica viene ad essere fondata sperimentalmente; cessa di essere dedotta dai princìpi della teologia, della metafisica e dell’etica e trova nella esperienza storica – e in quella soltanto – la ragione delle sue leggi, la motivazione del proprio farsi. La modernità vera del Machiavelli sta in questo suo rifarsi alle forze reali in campo nella lotta politica. (…) Il far politica è per lui un'”arte” capace di intrecciare le qualità della “golpe” e del “lione”; “virtù” che ci pone in grado di dominare la “fortuna”, iniziativa politica, si potrebbe dire, che interviene sulla situazione obiettiva. Per il Machiavelli la situazione obiettiva resta, quando egli parla in generale, indecifrata (“fortuna” appunto) perché egli non può possedere ovviamente i mezzi dell’analisi della società. Non così quando egli indaga situazioni politiche specifiche, poiché allora emergono le singole forze. Ma se per il passaggio dalla politica come “arte” e tecnica alla politica come ‘scienza’ – nel senso che essa è fondata su basi scientifiche – bisogna attendere che si formino i concetti di ‘classe’, di ‘struttura’, ecc., il Machiavelli sembra essere il pensatore che più di ogni altro si colloca in una fase che immediatamente precede quella del marxismo (…). Vi è in Machiavelli l’intuizione della estrema complessità delle situazioni concrete (“l’unità del molteplice” secondo Marx) che egli chiama “fortuna” e che nessuna analisi strutturale può esaurire. Se prevalesse la pretesa di risolvere tutta la complessità della situazione reale nell’analisi strutturale, la politica diventerebbe un gioco meccanico, incapace di creare la propria iniziativa, di intervenire sul concreto” [Luciano Gruppi, Machiavelli e Gramsci] [(in) ‘Critica marxista’, Roma, anno VII n° 3, maggio-giugno 1969]