“Più in generale, secondo Marx, lo sfruttamento di una classe su di un’altra non è causato dal particolare prezzo non concorrenziale della forza lavoro, ma dall’esistenza stessa del mercato del lavoro, dal fatto cioè che, nel capitalismo, la forza lavoro sia una merce e, come tale, abbia un prezzo. Come per ogni merce, le variazioni di prezzo modificano il potere di agire di acquirenti e venditori. Ma la vera costrizione del lavoratore sta nel ‘dover’ vendere la forza lavoro ad un determinato prezzo, poco importa se imposto da soggetti dotati di potere di monopolio o se regolato interamente dal meccanismo impersonale della concorrenza. Per questo, Marx critica duramente i teorici, solo apparentemente radicali, che cercano in un particolare prezzo della forza lavoro le cause dei rapporti di dominazione e sfruttamento e che, sul piano politico, rivendicano il diritto del lavoratore ad un prezzo “equo” della forza lavoro: questo, replica Marx, equivale a “richiedere la libertà sulla base di un sistema schiavistico” (Marx, 1865, cap. 7). Anzi, prosegue, il vero problema è proprio che, sotto la spinta della concorrenza, la forza lavoro si scambia effettivamente al suo valore di mercato “corretto”, quello determinato dal costo della sua riproduzione, che coincide con la sussistenza del lavoratore. Indipendentemente dal volere dei singoli individui, la concorrenza impone al capitalista la ricerca del massimo profitto, come condizione per restare sul mercato, e al lavoratore l’accettazione del minimo salario, come condizione per trovare un impiego. Non si tratta ovviamente di rigidi vincoli che annullano la libertà di scelta individuale (…). Marx analizza lo sviluppo della concorrenza come un processo storico intrinsecamente legato all’estendersi della proprietà privata e all’intensificarsi dei rapporti di mercato. Scrive Engels: “Abbiamo visto come, finché sussista la proprietà privata, tutto finisca col confluire nella libera concorrenza (…). Poiché la proprietà privata isola ciascuno nella propria bruta singolarità e poiché ciascuno ha tuttavia il medesimo interesse del suo vicino, un proprietario fondiario si oppone all’altro, un capitalista all’altro, un lavoratore all’altro. In questo processo in cui eguali interessi divengono reciprocamente ostili proprio a causa della loro identità giunge a perfezione l’immoralità della presente condizione dell’umanità. Questa perfezione è la concorrenza (Engels, 1844)” [Giulio Palermo, Baroni e portaborse. I rapporti di potere nell’università, 2012]
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- Articolo pubblicato:27 Agosto 2013