“La società borghese è infatti caratterizzata dall’incertezza della esistenza, dall’angoscia sociale. Soltanto Marx è andato più a fondo nella critica della miseria sociale dell’uomo perché l’uomo doveva essere ancora più distruttivo, più disumanizzato. Era necessario far emergere straordinaria violenza tutta l’inumanità del nostro mondo perché questa diventasse così forte da essere intollerabile. Ma come non salutare la potenza di classe e la virulenza della visione di Babeuf che attinge la sua forza non più dal passato ma dal futuro, che la fa finita con le vecchie concezioni, lasciando che i morti sotterrino i morti? Come, di conseguenza, accordare una qualche attenzione a tutti i nostri pseudofilosofi e politici del momento che sono incapaci di comprendere che il mondo e, anche, di interpretarlo? Il romanzo della loro stupidità e della loro miseria è già scritto nella storia da oltre due secoli. Tutto l’esistenzialismo, l’inquietudine e l’angoscia del nostro mondo moderno sono figli della stessa società denunciata e messa alla berlina da Babeuf. La società borghese è anche la società del super-individualismo che fa di ogni uomo un estraneo per l’altro, dandogli solo due possibilità di esistenza: sfruttatore o sfruttato. “Che genere di società è in effetti questa, dove in mezzo a parecchi milioni di persone si incontra la solitudine più profonda; dove si può essere sopraffatti da un’incoercibile voglia di uccidersi senza che nessuno lo indovini? Questa società non è una società, è, come dice Rousseau, un deserto popolato da bestie feroci… I rapporti tra gli interessi e gli animi, le vere relazioni tra gli individui, sono ancora da creare fra noi dalle fondamenta, e il suicidio è solo uno dei mille sintomi della generale lotta sociale permanentemente in atto, da cui tanti combattenti si ritirano perché sono stanchi di stare fra le vittime, o perché si ribellano all’idea di guadagnarsi un posto d’onore fra i carnefici” (Karl Marx, Peuchet: del suicidio, in Friedrich Engels Karl Marx, Opere IV, cit., pp 549-50)” [Jacques Camatte, Verso la comunità umana. Scritti dal 1968 al 1977, 1978]