“Le attività non liquide, quali azioni, titoli del debito pubblico, ecc., sono chiamate da Marx “capitale fittizio”. Il mercato in cui si scambia questo tipo di capitale è trattato come un territorio in cui opera prevalentemente l’attività speculativa. Potrebbe essere l’occasione per studiare gli effetti degli usi speculativi della moneta sulla determinazione del saggio d’interesse e sull’instabilità del sistema monetario, ma Marx si lascia sfuggire quest’occasione. La speculazione sui titoli è da lui studiata come un’attività che ha come solo effetto rilevante quello di redistribuire ricchezza fra i capitalisti. Esistono in verità dei passi in cui Marx tratta degli effetti della speculazione finanziaria sui movimenti del saggio d’interesse, ma le indicazioni fornite sono contrastanti. A volte per esempio egli sostiene che l’aumento del saggio d’interesse che si verifica durante la crisi costituisce un’occasione per gli speculatori di “scontare il futuro” acquistando azioni e titoli a lunga scadenza. Tale tesi sembra implicare che la speculazione opererebbe sulla base di un’elevata consapevolezza dell’andamento ciclico del mercato monetario e si risolverebbe nell’acquisto di “capitale fittizio” (e cessione di liquidità) nelle fasi di crisi (C. III, pp. 590, 668) al fine di rivenderlo nelle fasi di prosperità, quando il corso dei titoli è alto. In tal caso la speculazione finanziaria costituirebbe un elemento di stabilizzazione del ciclo monetario, poiché rilascerebbe liquidità proprio durante la crisi, quando la sua domanda è più elevata. Ma in altri luoghi Marx sostiene che la speculazione è un elemento di inasprimento delle difficoltà finanziarie che si verificano durante la crisi, nella quale “diminuisce anche la possibilità del proprietario [di capitale fittizio] di venderlo per procurarsi denaro” (ivi, p. 580). Questa tesi è più interessante della precedente e sarebbe resa plausibile dall’ipotesi che la speculazione operi sul breve termine. Gli speculatori dovrebbero allora scontare il futuro vendendo titoli durante la crisi in attesa di continui aumenti del saggio d’interesse e amplificando in tal modo l’instabilità del sistema finanziario; al culmine della crisi, quando il saggio d’interesse è al massimo, essi li riacquisterebbero. Questa linea di pensiero però non è sviluppata da Marx. E’ il caso di far notare, comunque, che la trascuranza marxiana degli effetti destabilizzanti della speculazione sui titoli ha una giustificazione storica. Nelle 13 crisi finanziarie verificatesi nel mondo capitalistico tra il 1810 e il 1866 la speculazione su merci ha svolto un ruolo soverchiante rispetto a quella sui titoli. Solo a partire dalla crisi del 1873 il rapporto tra i pesi dei due tipi di speculazione si rovescia. Un quadro sintetico dei dati storici in questione può essere trovato in Kindleberger (1981), pp. 252-257″ [Ernesto Screpanti, Equilibrio e crisi nell’economia capitalistica, 1984, appendice B] (pag 149)