“Non vi è nessun nesso necessario fra marxismo e violenza: il marxismo è una teoria della rivoluzione sociale e non soltanto di quella politica, e di conseguenza è una giustificazione della violenza solo in quanto sia necessaria ai fini della rivoluzione. Credo che parte della incomprensione esistente fra movimenti marxisti e movimenti nonviolenti dipenda dal fatto che i marxisti vedono nei movimenti nonviolenti soltanto gli aspetti di rivoluzione individuale e parziale, come è effettivamente l’obiezione di coscienza o il compimento di azioni esemplari anch’esse abitualmente individuali come il digiuno, e non prendono in considerazione le campagne di nonviolenza collettiva di cui oltrettutto gli stessi movimenti operai, anche ad ispirazione marxista, sono stati grandi protagonisti. Reciprocamente, da parte dei movimenti non violenti una certa diffidenza nei riguardi del marxismo esiste, ed è fondata sulla convinzione che per il marxismo la dottrina della violenza collettiva sia irrinunciabile, mentre non viene presa in considerazione l’enorme capacità che hanno dimostrato i movimenti che s’ispirano al marxismo di promuovere manifestazioni nonviolente di massa. Queste forme di diffidenza sono dall’una e dall’altra parte ingiustificate e derivano dalla mancanza di conoscenza reciproca. Non voglio dire con questo che non ci siano fra marxismo e nonviolenza ragioni di contrasto. Ma si tratta di un contrasto che ha per oggetto i fini ultimi che non i mezzi di volta in volta ritenuti legittimi per raggiungerli” [Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, 1984]