“In effetti è proprio l’incapacità del capitalismo a “spingersi troppo oltre con le promesse materiali”, a servire da intelaiatura dello sviluppo economico e sociale, che costringe i suoi apologeti e i suoi politici a basare la sua stabilità sui ‘circences’ anziché sui ‘panem’, sull’esibizionismo ideologico anziché sulla ragione. Così, la campagna per la preservazione del capitalismo è presentata oggi più energicamente che mai come una crociata per la democrazia e la libertà. Nei giorni della precedente lotta contro il feudalesimo, quando il capitalismo era un potente veicolo di progresso e l’illuminismo e la ragione erano scritti sulla bandiera della classe capitalistica in ascesa questa affermazione aveva, se non altro, una parziale validità storica. Validità che essa aveva già completamente perduto nella seconda metà del secolo XIX quando, essendo la dominazione borghese sempre più minacciata dal nascente movimento socialista, divenne sempre più evidente che “per libertà si intende, entro gli attuali rapporti borghesi di produzione, il commercio libero, la libera compra e vendita” (Marx ed Engels, Manifesto del partito comunista, 1955, p. 47). (…) Come Engels aveva brillantemente previsto: “il giorno della crisi e il giorno dopo la crisi…l”intera reazione…si raccoglierà intorno alla democrazia pura’” (Lettera a Bebel, 11 dicembre 1884, in Marx Engels Selected Correspondence, New York, 1934, p. 434). Che si tratti poi dell'”intera reazione”, e che la “democrazia pura” per la quale dichiaratamente essa combatte non sia altro che la pura e semplice libertà di sfruttamento, può subito ricavarsi dall’elenco dei paesi che compongono il cosiddetto “mondo libero”” [Paul A. Baran, Il “surplus” economico e la teoria marxista dello sviluppo, 1975]