“Già nell’analisi del concetto di merce e dei suoi due fattori (valore d’uso e valore-lavoro), cioè alle soglie del ‘Capitale’, Marx introduce il concetto di “forza produttiva del lavoro” (riconducibile al più generale concetto di forze produttive della fondamentale dialettica forze produttive-rapporti di produzione) nei suoi elementi determinanti: “La ‘grandezza di valore’ di una merce rimarrebbe quindi costante se il tempo richiesto per la sua produzione fosse costante. Ma esso cambia con ogni cambiamento della ‘forza produttiva del lavoro’. La forza produttiva del lavoro è determinata da molteplici circostanze, e, fra le altre, dal grado medio di abilità dell’operaio, dal grado di sviluppo e di applicabilità tecnologica della scienza, dalla combinazione sociale del processo di produzione, dall’entità e dalla capacità operativa dei mezzi di produzione, e da ‘situazioni naturali'” (‘Il Capitale’, I, 1, p. 52). P. Vilar ha commentato questo passo sottolineando gli inviti ancora attualissimi a un programma di studi che ci riguarda strettamente: “Sottolineo che Marx ha introdotto con l’ultima indicazione, a proposito delle ‘condizioni naturali’, una serie di suggerimenti, che ha d’altronde rapidamente precisati, sull’osservazione dei ‘mutamenti di produttività nel breve termine’ (nell’ambito delle produttività agricole dominate dalla meteorologia) investendo in tal modo tutto il problema economico-sociale dell'”irregolarità dei raccolti” nel corso della storia. Investendo anche il problema dell’ineguale produttività delle miniere, sulla quale riposa la storia degli equilibri monetari e del movimento dei prezzi. Ciò infine introduce a un livello più generale, nel programma dello storico, ‘tutta la geografia’ quella delle risorse, quella delle distanze” (P. Vilar, op. cit., p. 221) (1). Per ‘situazioni naturali’ Marx non intende soltanto clima, le condizioni meteorologiche in rapporto ai raccolti – anche se questo come vedremo più avanti si rivela un elemento di grande rilievo nello studio delle società agrarie precapitalistiche, come anche di recente ha dimostrato W. Kula – o le condizioni naturali della produttività delle miniere, ma, proprio come osserva il Vilar, nel programma scientifico marxiano entro ‘tutta la geografia’, inscindibilmente dalla storia e in particolare dalla storia delle tecniche o della tecnologia. “La tecnologia svela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura” e in quanto tale non può pensarsi neppure essa come storia speciale, autonomamente dalla geografia e dalla storia del lavoro sociale e dei rapporti di produzione: “Una ‘storia critica della tecnologia’ dimostrerebbe, in genere, quanto piccola sia la parte di un singolo individuo in una invenzione qualsiasi del secolo XVIII. Finora tale opera non esiste. Il ‘Darwin’ ha diretto l’interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla formazione degli organi vegetali animali come strumenti di produzione della vita delle piante e degli animali. Non merita uguale attenzione la storia della formazione degli organi riproduttivi dell’uomo sociale, base materiale di ogni organizzazione sociale particolare? E non sarebbe più facile da fare, poiché, come dice il ‘Vico’, la storia dell’umanità si distingue dalla storia naturale per il fatto che noi abbiamo fatto l’una e non abbiamo fatto l’altra? La tecnologia svela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione della sua vita, e con essi anche l’immediato processo di produzione dei suoi rapporti sociali vitali e delle idee dell’intelletto che ne scaturiscono” (Il Capitale, I, 2, pp. 72-3)” [Massimo Quaini, Marxismo e geografia, 1974] [(1) P. Vilar, Sviluppo economico e analisi storica, Laterza, 1970]