“I testi marxiani, e in primo luogo il testo dei ‘Manoscritti’, indicano, a nostro parere con chiarezza, che per Marx il rapporto alienazione-sfruttamento non si svolge nel senso che lo sfruttamento sia la causa e l’alienazione l’effetto, ma al contrario nel senso che lo sfruttamento nasce come determinazione della stessa alienazione. “Certamente abbiamo acquisito il concetto di ‘lavoro alienato’ (di ‘vita alienata’) traendolo dall’economia politica come risultato del ‘movimento della proprietà privata’. Ma con un’analisi di questo concetto si mostra che, anche se la proprietà privata appare come il fondamento, la causa del lavoro alienato, essa ne è piuttosto la conseguenza: allo stesso modo che ‘originariamente’ gli dèi non sono la causa ma l’effetto dell’umano vaneggiamento. Successivamente questo rapporto si converte in un’azione reciproca. Solo al vertice del suo svolgimento la proprietà privata rivela il suo segreto, vale a dire, anzitutto, che essa è il prodotto del lavoro alienato, in secondo luogo che è il ‘mezzo’ con cui il lavoro si aliena, è la realizzazione di questa alienazione” (Marx, ‘Manoscritti economico-filosofici del 1844’, p. 94). Dunque: lo sfruttamento è tanto poco la causa dell’alienazione, che senza l’alienazione esso sarebbe incomprensibile. Per Marx un uomo può sfruttare un altro uomo solo in quanto quest’ultimo sia già separato, estraniato, dal suo prodotto, dal suo lavoro, da se stesso, e quindi dagli altri uomini. Solo quando, sulla base del lavoro alienato, lo sfruttamento sia sorto, solo allora lo sfruttamento reagisce sulla stessa alienazione, rovesciando il rapporto. Nell’ambito di questo rovesciamento, l’alienazione assume caratteristiche aggiuntive: “al vertice dello svolgimento della proprietà privata”, ossia nel capitalismo, nello sfruttamento capitalistico, e per effetto questa volta di tale sfruttamento, l’alienazione è spinta al limite. E due sono le connotazioni di questo limite rilevate da Marx, per le quali l’alienazione capitalistica si presenta, nell’esposizione dei ‘Lineamenti’ e del ‘Capitale’, come uno sviluppo e un rafforzamento dell’alienazione, per così dire, generica di cui si parla nei ‘Manoscritti’. Innanzitutto, la separazione del produttore dal suo prodotto non sta solo nel fatto che il prodotto, in quanto soddisfa i bisogni estranei all'”essenza” dell’uomo, è esso stesso estraneo al produttore, ma, di più, nel fatto che, essendo il prodotto una merce, esso ha nei confronti del produttore un grado d’indipendenza maggiore: nell’economia mercantile i rapporti tra gli uomini si presentano come rapporti tra cose (“feticismo” delle merci) e la cosa, in quanto merce, domina gli uomini  in un senso più profondo di quanto non possa dirsi per il prodotto generico. Ma, in secondo luogo, e sul terreno questa volta non del rapporto produttore-prodotto, ma del rapporto produttore-lavoro, la separazione dei produttori dal loro lavoro non sta semplicemente nel fatto che il lavoro è ad essi estraneo nella stessa misura in cui è estraneo il prodotto a cui esso mette capo, ma, di più, nel fatto che il lavoro stesso, e non il semplice prodotto del lavoro, è d’un altro, giacché quando l’operaio ha venduto la sua forza-lavoro, il suo lavoro, come valore d’uso d’una forza-lavoro ceduta ad altri, non gli appartiene più; e il perfezionamento di questo tipo di estraniazione tra lavoratore e lavoro, per cui il lavoratore ‘non è presso di sé’ quando lavora, si ha, per Marx, quando la produzione capitalistica arriva allo stadio della grande industria e della macchine: qui, infatti, la collocazione dell’attività del lavoratore in ‘altro’ dal lavoratore stesso, si prolunga dal piano giuridico della proprietà al piano tecnico del processo produttivo, dove il lavoro dell’operaio non è altro che un “semplice accessorio vivente” del sistema delle macchine. In questo dunque consiste, nell’impianto teorico di Marx, il passaggio al limite dell’alienazione in condizioni capitalistiche” [Claudio Napoleoni, Smith Ricardo Marx, 1970]