“Secondo Marx, il progresso della divisione capitalistica del lavoro ha portato alla ‘più completa esclusione della libertà dalla sfera della produzione materiale’ per il fatto che: In primo luogo, ha portato alla separazione del lato intellettuale del lavoro da quello “puramente fisico”. In secondo luogo, ha ridotto anche questo lato “fisico” all’unilaterale applicazione dall’astratta (isolata dalle altre) capacità umana. In terzo luogo, ha posto anche l’applicazione di questa capacità unilateralmente sviluppata in dipendenza non della sua propria – sia pur anche “fisiologica” – misura, ma di una misura esteriore che muove dalle esigenze prescritte dal ritmo del movimento della macchina. Di conseguenza, il problema della capacità umana nel lavoro ha ricevuto un’espressione capovolta: come problema del normale bisogno “fisiologico” dell’organismo. Il che, per usare le parole del giovane Marx, è la manifestazione somma dell'”alienazione del lavoro”. L’unico campo oggettivamente possibile di libera attività per le masse lavoratrici sotto la divisione borghese del lavoro si apre nella rivoluzione sociale, dove gli individui realmente – con la loro propria attività – creano nuovi rapporti sociali” [Jurij Davydov, Il lavoro e la libertà. Una teoria della società comunista, 1966]