“Da studente, Marx era rimasto affascinato da ‘Tristram Shandy’, un romanzo estremamente digressivo di Laurence Sterne, e trent’anni dopo trovò un argomento che gli permise di imitare lo stile sciolto e disarticolato ideato da Sterne. Come ‘Tristram Shandy’, ‘Il capitale’ è pieno di paradossi e ipotesi, di astruse spiegazioni e idee strampalate, di narrazioni frammentarie e curiose bizzarrie. In quale altro modo avrebbe potuto Marx rendere giustizia alla misteriosa e spesso anomala logica del capitalismo? Come egli stesso osserva al termine della sua estenuante tirata sulla tela e l’abito: “Al primo aspetto una ‘merce’ pare una cosa triviale, normale. Dalla sua analisi risulta che è una cosa intricatissima, ricca di sfumature metafisiche e di arguzie teologiche”. Quando del legno viene trasformato in un tavolo, rimane comunque legno, un materiale comune e sensibile. Ma quando diventa una merce, si converte in qualcosa che trascende la sensibilità. “Non solo poggia coi piedi per terra, ma di fronte a tutte le altre merci si mette colla testa in giù, e tira fuori dalla sua testa di legno dei grilli molto più meravigliosi che se iniziasse a ballare da solo”. Dal momento che merci diverse riflettono il lavoro di chi le produce, il rapporto sociale tra esseri umani assume la fantastica forma di “un rapporto sociale tra oggetti che esista al di fuori di loro”. L’unica analogia che Marx risce a trovare per questa bizzarra trasformazione riguarda le nebulose regioni del mondo religioso: “Qui i prodotti della testa umana sembrano essere dotati di una propria vita, figure indipendenti che sono in rapporto tra di loro e con gli uomini. Così accade per i prodotti della mano umana nel mondo delle merci. Questo è quel che io chiamo feticismo, che si attacca ai prodotti del lavoro quando vengono prodotti come merci…”” [Francis Wheen, Marx. Il capitale. Una biografia, 2007]
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- Articolo pubblicato:20 Settembre 2012