“Richiamai l’attenzione sul fatto che lo Statuto dei Consigli dei lavoratori era inconciliabile con la libertà della ricerca scientifica; ricordai ai colleghi che l’università, non molto tempo prima, aveva conferito il dottorato ‘honoris causa’ all’Arciduca (d’Austria) Federico con tali manifestazioni di sudditanza, da rendere quell’atto difficilmente conciliabile con l’adesione a un’organizzazione marxista; e conclusi affermando che l’università non doveva cadere ai piedi della croce che veniva eretta davanti a essa. Credo che il mio discorso abbia contribuito molto al rifiuto di partecipare all’elezione per i Consigli dei lavoratori. Il fatto che ciononostante il ministro socialdemocratico dell’istruzione mi abbia nominato fu una prova di grande obiettività perché nella successione a Bernatzik era stato proposto ‘secundo loco’ un professore straordinario che si era iscritto al partito socialdemocratico (cosa che io non avevo fatto); perché io, inoltre, rifiutavo la teoria politica del marxismo – fondata sulla dittatura del proletariato e sulla progressiva estinzione dello Stato – da me sottoposta a una critica serrata nel libro ‘Sozialismus und Staat’ (1920); perché allora ero (e tuttora sono) dell’idea che un docente e studioso di scienze sociali non deve aderire ad alcun partito politico, perché l’appartenenza a un partito danneggia l’indipendenza scientifica. Ero invece fin dal principio in completa sintonia con il programma democratico della socialdemocrazia austriaca, che in linea di principio si fondava sul marxismo ma che nella prassi non aveva nulla in comune con la teoria anarchica dello Stato di Marx ed Engels. Come individualista, in un primo tempo avevo assunto un atteggiamento negativo davanti al suo programma economico di nazionalizzazione dell’economia. Però in seguito, soprattutto sotto l’impressione degli sconvolgimenti economici provocati dalla guerra, divenni sempre più propenso ad ammettere che il sistema del liberismo economico, così come si era realizzato nelle circostanze date, non offriva alcuna garanzia di sicurezza economica per la massa non abbiente e che – nella situazione di allora – la sicurezza economica si poteva raggiungere soltanto con l’economia pianificata, il che in ultima analisi significava nazionalizzare la produzione” [Hans Kelsen, Autobiografia, 1947] [in Hans Kelsen, Scritti autobiografici, a cura di Mario G. Losano, 2008]