“Qualsiasi dubbio sul fatto che Marx sia stato un grande economista classico dovrebbe, a questo punto, essersi dissolto. Quanto a capacità di ragionamento economico e rigore logico, egli non ebbe rivali nel suo secolo. Certo, l’attitudine al ragionamento deduttivo astratto non fa, di per sé, un grande economista; Marx possedeva tuttavia le altre qualità richieste: un’intuizione sicura delle interrelazioni fra i diversi aspetti dell’attività economica, una grande capacità di cogliere la continua interazione fra istituzioni storicamente determinate e caratteristiche strutturali intrinseche di un sistema economico, un fiuto istintivo per le generalizzazioni empiriche fondato su una penetrante osservazione della vita economica. Eppure, l’abbiamo visto cadere in errori logici, travisare i fatti, trarre conclusioni illegittime dall’esame dei dati, chiudere quasi deliberatamente gli occhi dinanzi alle insufficienze della propria analisi. La spiegazione di tutto ciò va ricercata nelle insormontabili difficoltà del compito che egli si proponeva. Il ‘Leitmotiv’ dell’analisi economica di Marx è la teoria del plusvalore, ma questa appunto non regge. Nulla, nei tre volumi del ‘Capitale’, riesce a convincere il lettore che ciascun lavoratore ugualmente abile genera il medesimo ammontare di plusvalore, quali che siano le attrezzature di cui si serve e i beni che produce. E quando tale assunto sia lasciato cadere, l’intero edificio costruito da Marx, privato del proprio fondamento, crolla rovinosamente. Rimane una “visione”, una concezione dell’economia (…)” [Mark Blaug, Storia e critica della teoria economica, 1970]