“Gli è noto in che modo i monaci del medioevo usassero di raschiare i manoscritti contenenti le classiche scritture del mondo pagano antico, per poi scrivervi su novellamente le assurde leggende dei santi cattolici. I letterati tedeschi operarono in senso inverso nel maneggiare cotesti profani scritti francesi. Essi fecero scivolare la loro insensataggine sull’originale francese, e ve l’applicarono. Là dove, p. es., la critica francese si aggira su i rapporti e su le funzioni della moneta, essi scrivono “alienazione della natura umana”, e là dove la critica francese concerne lo stato borghese, essi scrivono “abolizione del dominio dell’universale astratto”. Codeste viziate sostituzioni della fraseologia filosofica agli svolgimenti critici dei francesi, furono dagli autori stessi battezzate per “filosofia dell’azione”, per “socialismo ‘vero'”, per “scienza tedesca del socialismo”, per “dimostrazione filosofica del socialismo”. Per cotal via la letteratura francese socialistico-comunistica rimase evirata. E come essa cessava, in mano ai tedeschi, di esprimere la lotta di una classe contro di un’altra, così a ragione i tedeschi si vantano di aver superata “la unilateralità francese” e di rappresentare invece dei bisogni veri il bisogno della verità, e in cambio degli interessi del proletariato quelli della natura umana, dell’uomo in generale, dell’uomo che non appartiene a nessuna classe, e anzi non appartiene punto alla realtà, ma solo al vaporoso ciclo della fantasia filosofica. Cotesto socialismo tedesco, che pigliava così solennemente sul serio le sue goffe esercitazioni da scolaro, e ne menava vanto all’uso dei ciarlatani, andò poco per volta e via via perdendo la sua innocenza da pedanti”. (pag 38-39) [K. Marx F. Engels, Il Manifesto dei comunisti (1848), Genova, sd]