“Il pensiero politico di Marx si iscrive nella grande corrente del realismo politico che spoglia lo Stato dei suoi attributi divini e lo considera come organizzazione della forza, del massimo di forza disponibile ed esercitabile in un determinato gruppo sociale. Rispetto al suo grande predecessore immediato, Marx ha una concezione strumentale dello Stato – lo Stato come apparato al servizio della classe dominante – che è il rovesciamento radicale della concezione etica secondo cui la forza dello Stato è prima di tutto una forza morale e spirituale (l’antihegelismo del giovane Marx è fuori discussione). L’originalità di Marx consiste nel fatto che egli è forse il primo scrittore politico che congiunge una concezione realistica dello Stato con una teoria rivoluzionaria della società. I realisti sono stati di solito dei conservatori che hanno giustificato lo Stato-forza come male necessario partendo da una concezione pessimistica dell’uomo. I due maggiori scrittori politici del Rinascimento, Machiavelli e Lutero, sono realistici e pessimisti: lo Stato non può non essere fondato sulla forza (o sull’inganno) perché ha a che fare con sudditi indocili e subdoli. Marx è realista: condivide con gli scrittori realisti l’idea che lo Stato è il dominio della forza. Ma non ha una concezione pessimistica della natura umana, o della storia. Che lo Stato sia buono o cattivo dipende da chi ne tiene in mano le redini. Per questo può fare di una concezione realistica dello Stato (lo Stato come male necessario) una delle leve di una teoria rivoluzionaria della società. In secondo luogo Marx è l’unico scrittore realista che conduca la concezione realistica dello Stato sino alle estreme conseguenze, con una consapevolezza che ne fa il continuatore e in certo senso l’inventore di Machiavelli. L’idea dello Stato-forza non era mai andata disgiunta dall’idea che a ogni modo questa forza fosse destinata ad attuare il “bene comune”, l'”interesse generale”, la “giustizia” e così via, e uno Stato che non perseguisse questi nobili fini fosse uno Stato corrotto, non fosse un “vero” Stato, ecc. Per la prima volta Marx denuncia con estrema chiarezza l’aspetto ideologico di questa presunta teoria: lo Stato non soltanto è uno strumento, un apparato, un insieme di apparati, di cui il principale e determinante è quello che serve all’esercizio della forza monopolizzata, ma è uno strumento che serve alla realizzazione d’interessi non generali ma particolari (di classe). Marx giunge a questa conclusione in quanto rovescia la concezione precedente dei rapporti fra società e Stato. Da Hobbes a Hegel la società prestatale (sia essa considerata come stato di natura o come società civile), considerata come il luogo dello scatenamento delle passioni, o degli interessi, si risolve, deve risolversi, tutta quanta nello Stato, elevato a luogo della più alta forma di convivenza razionale fra gli uomini (lo Stato come “dominio della ragione” di Hobbes o come “il razionale in sé e per sé” di Hegel). Per Marx, al contrario, lo Stato lungi dall’essere il superamento dello stato di natura, ne è in un certo senso la perpetuazione, in quanto è come lo stato di natura, il luogo di un antagonismo permanente e insolubile.” [Norberto Bobbio, Esiste una dottrina marxista dello Stato?] [in ‘La stampa socialista. I quarant’anni di Mondoperaio’, a cura di Mario Baccianini e Antonio Landolfi, 1988] (pag 184)
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- Articolo pubblicato:29 Maggio 2012