“E questo ci conduce alla questione del rapporto tra la teoria marxiana del profitto e quella di Ricardo (e dei classici in generale). La differenza fra le due teorie balza agli occhi. Mentre la scuola di Ricardo è naufragata proprio contro l’ostacolo della contraddizione fra la determinazione del valore mediante  il lavoro e il fatto del saggio generale di profitto, per Marx questa contraddizione è divenuta il punto di partenza di una nuova dottrina del profitto. Egli non cerca, come i ricardiani, di “salvare” la legge del valore “mediante ‘astrazione’ forzata dalle antinomie dell’apparenza fenomenica” (Das Kapital, I, p. 325, [Libro I p. 345]), ma dimostra al contrario come, per l’intervento del saggio generale di profitto, “sulla base del valore di scambio si sviluppi un prezzo di mercato da questo o, meglio, come la legge del valore di scambio si realizzi soltanto nel proprio opposto” (Zur Kritik, p. 48 [Critica, p. 49]). Si capisce quindi la profonda soddisfazione con cui Marx, nella lettera del 14 gennaio 1858, si esprime appunto su questa sua conquista teorica: “Del resto faccio dei bei passi avanti. Per es. tutta la teoria del profitto, quale è stata finora, l’ho mandata a gambe all’aria. Quanto al ‘metodo’, mi ha reso un grandissimo servizio il fatto che ‘by mere accident’ mi ero risfogliato la ‘Logica’ di Hegel”. E aggiunge: “Se troverò mai il tempo per lavori del genere, avrei una gran voglia di rendere accessibile all’intelletto dell’uomo comune […] quanto vi è di ‘razionale’ nel metodo che Hegel ha scoperto ma, nello stesso tempo, mistificato” (Mew, XXIX, p., 260 [Carteggio, III, pp. 154-5])” [ Roman Rosdolsky, Genesi e struttura del ‘Capitale’ di Marx, 1971]