“Gaetano Salvemini, studente a Firenze, si lascerà influenzare più da Cesare Paoli che da Pasquale Villari. E’ già un segno. Ma il grande avvenimento è l’incontro – tra il 1894 ed il 1895 – col marxismo. Come egli stesso dirà più tardi, in quegli anni aveva divorato il ‘Manifesto dei comunisti’ e gli scritti di Marx sulle lotte di classe in Francia nel 1848, sul colpo di stato del 1851 e sulla Comune, aveva scoperto il suo vangelo nel ‘Materialismo storico’ di Antonio Labriola e aspettava con impazienza ogni due settimane la ‘Critica sociale’ di Turati. Da questo marxismo (discutibilissimo, per quel ch’è esattezza interpretativa) – allo stesso modo che da tutta una tradizione positivistica che vedeva nella sociologia una scienza non proprio trascurabile che, se aveva tanto da prendere dalla storia, aveva altrettanto da offrirle – da marxismo e positivismo sociologico, dunque, Salvemini dedusse un senso del collettivo anticipatore già della “polemica, rinnovata ai nostri giorni, della scuola francese dei Bloch, Febvre, Braudel, eccetera contro l”histoire évenementielle'” (come ha acutamente osservato Ernesto Sestan).” [Ruggiero Romano, La storiografia italiana oggi, 1978]