“Questi due fascicoli della rivista (*) che si stampa a cura dell’Istituto di studi sovietici di Monaco, sono interamente dedicati al lucido saggio di Avtorkhanov, uno studioso russo formatosi in patria e poi emigrato in Germania con già all’attivo diversi lavori sulla rivoluzione del 1917 nel Caucaso del Nord. Qui egli torna sul tema da un angolo visuale più ampio e ambizioso, studiando il ruolo di Lenin nella formazione e nell’avvento al potere del partito bolscevico, sulla base dei materiali pubblicati in URSS in questi ultimi dieci anni. Da questi documenti (i verbali degli atti e risoluzioni del partito) risultano confermate alcune delle principali interpretazioni che erano già state avanzate prima che esistesse la possibilità di suffragarle con prove così valide, mentre sorgono, come sempre succede in questi casi, nuovi problemi, per risolvere i quali si richiederebbe il libero accesso negli archivi che per ora non è dato sapere quando verrà concesso. Per il momento si possono solo formulare delle ipotesi. E a questo compito non si sottrae l’Avtorkhanov. Nuoce tuttavia a questa parte del lavoro la mancanza di un confronto diretto ed esplicito con le tesi degli altri studiosi, e sono già numerosi nel solo mondo anglosassone, che hanno utilizzato via via che veniva alla luce questo materiale o che comunque hanno avanzato sugli stessi temi toccati dall’Autore interpretazioni discordanti. Non si vuole dire con questo che all’Autore manchi la conoscenza della bibliografia. A giudicare da un solo esempio, la ‘Storia della rivoluzione russa’ di Trotsky, tenuta nel corso delle 150 pagine sempre presente, ma citata esplicitamente solo quando i nuovi documenti confermano a giudizio di Avtorkhanov qualcuna delle più brillanti anticipazioni del profeta esiliato, si tratta piuttosto di un metodo che evita deliberatamente la polemica. E’ il metodo preferito dagli studiosi anglosassoni, che per dare incentivo alla lettura relegano a fine capitolo o in appendice note e bibliografia, così da invitare il lettore colto ma non specialista a saltarle. (…) Tra i giudizi ormai prevalenti nella storiografia che ricevono incondizionato appoggio e ulteriore delucidazione dall’Avtorkhanov v’è quello che attribuisce a Lenin, per dirla con le parole polemiche ma acute di Trotsky nel 1903, una smisurata ‘Wille zur Macht’, alla luce della quale solamente sarebbe possibile ricondurre a unità le molteplici e spesso contraddittorie posizioni assunte dal fondatore del bolscevismo nel corso di tutta la sua attività. Anche il partito e lo stesso centralismo, per Lenin così importanti, a loro volta non sarebbero stati altro che strumenti per realizzare l’ascesa al potere. In proposito Avtorkhanov cita Vera Zasulich: «Per Lenin il Partito si identifica con la sua propria linea politica, con la sua volontà di dirigere l’attuazione pratica di questa linea politica. E’ la tesi di Luigi XIV: ‘L’état c’est moi’: il Partito sono io, Lenin» (‘Iskra’, 25 giugno 1904). Ovviamente una simile impostazione non è fatta per trovare l’assenso degli storici d’indirizzo leninista o semplicemente marxista. E tuttavia, nel caso di Avtorkhanov, si avrebbe torto a pensare che essa sia in funzione, esclusivamente o precipuamente polemica. Se polemica c’è, e ce n’è come è inevitabile, pur se estremamente contenuta e misurata nel tono, più implicita che esplicita, non si tratta comunque di polemica denigratoria. Anzi Lenin emerge dalle pagine di questo saggio come un gigante della politica, senza confronti tra i suoi collaboratori e avversari, tra i grandissimi della storia umana. Se della nota opera del Carr si è detto, a ragione, che in essa Lenin è visto soprattutto come grande uomo di stato, qui, fatte le debite proporzioni anche di mole, Lenin è presentato come insuperabile rivoluzionario. Certo, non nel senso marxista del termine, ricco di carica emotiva positiva, ma piuttosto in quello machiavelliano, emotivamente neutro. Questo taglio, che porta in sostanza a considerare Lenin come un maestro di ‘Real Politik’, senza trascurare la problematica ideologica ma collocandola indubbiamente molto sullo sfondo, non è esente da limiti, anche se, si può starne certi, ci dà un Lenin più simile nei tratti a come lo vedranno i nostri lontani posteri o a come già oggi noi consideriamo un Cesare o un Napoleone (1)” [Domenico Settembrini, ‘Lenin protagonista dell’Ottobre’, (in) ‘Storia contemporanea’, n. 1, marzo 1973] [(1) «Cesare…era dotato di una mente fredda, chiaroveggente; e avendo nell’idea, per un indeterminato futuro, di portare avanti un suo difficile giuoco, badava a collocare ogni pedina al proprio posto, attento a non sbagliare i tempi…; audacissimo e prudente, tenace e adattabile, lineare nei propositi finali, ma disposto, in attesa del suo momento, all’accordo e al compromesso» (Così U.E. Paoli in ‘Uomini e cose del mondo antico’, Firenze, 1947, p. 213). Quanto a Napoleone, è Lenin stesso in uno dei suoi ultimi scritti ad invocarne l’esempio per giustificare contro le critiche mensceviche, cioè d’impianto marxista, il proprio operato: «Napoleone, se ben ricordo scrisse: “On s’engage et puis… on voit”. Liberamente tradotto, ciò significa: “Prima bisogna impegnarsi in un combattimento serio e poi si vedrà”. Ed ecco che noi, nell’ottobre 1917, ci siamo impegnati dapprima in un combattimento serio e soltanto dopo abbiamo visto alcuni particolari dello sviluppo (dal punto di vista della storia universale, questi sono indubbiamente dei particolari) come la pace di Brest-Litovsk o la nuova politica economica, ecc. E oggi non v’è più alcun dubbio che, in linea generale, noi abbiamo ottenuto la vittoria» (‘Opere scelte’, Mosca, 1948, vol. II, p. 815). Tra i primi a valutare Lenin con questi metri di giudizio è stato l’anarchico E. Malatesta nella necrologia del leader bolscevico: «Lenin è morto. Noi possiamo avere per lui quella specie di ammirazione forzata che strappano alle folle gli uomini forti, anche se allucinati, anche se malvagi, che riescono a lasciare nella storia una traccia profonda del loro passaggio: Alessandro, Giulio Cesare, Cromwell, Robespierre, Napoleone. Ma egli, sia pure con le migliori intenzioni, fu un tiranno, fu uno strangolatore della rivoluzione russa – e noi che non potemmo amarlo vivo, non possiamo piangerlo morto. – Lenin è morto. Viva la libertà!» (‘Pensiero e volontà’, 1 febbraio 1924)] [(*) in ‘Studies on the Soviet Union’ , 1970 n. 2 e 3: Abdurakhman Avtorkhanov, ‘Lenin and the Bolshevik Rise to Power’] [Domenico Settembrini, ‘Lenin protagonista dell’Ottobre’, (in) ‘Storia contemporanea’, Roma, n. 1, marzo 1973] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]