“Dal ’67, l’anno del ‘Capitale’, all’83, l’anno della morte, il fervore creativo del Marx, il suo assillo all’indagine teorica sembrano spenti: da ogni parte si attende che porti a compimento l’opera sua maggiore, che ribatta le critiche sempre più insistenti, ed egli tace. Non che il vigore dell’ingegno si offuschi o difetti l’alacrità prodigiosa che lo aveva animato per più di un ventennio: egli continua senza posa a indagare e a studiare, analizza statistiche agrarie, relazioni ufficiali sul pauperismo irlandese (messe poi a frutto in una nuova edizione del ‘Capitale’), teoriche della rendita e del costo di produzione, influenze delle oscillazioni del valore della moneta sul saggio di profitto; intanto si affianca all’Engels nella polemica col Dühring, delinea una teoria matematica dei cicli commerciali, studia la lingua russa, sopporta il maggior peso d’organizzazione dell”Internazionale’, vagheggia lavori di vasta portata, ma del ‘Capitale’ non pone più in carta una sola linea. Amletico silenzio, che le carte postume non giovano a spezzare, tutte rivelandosi anteriori al primo volume dell’opera fondamentale: e se cerchiamo di penetrare i motivi, uno subito se ne presenta, insinuante e ambiguo, che può essere stato la lunga angoscia del tramonto di quella vita. Proprio il terzo volume del ‘Capitale’ demolisce, come si è visto, quella riduzione di valore a lavoro, che era il postulato basilare dell’intera opera: e il pensatore può essersi trovato avvolto nella contraddizione insanabile, fra l’assurdo della conseguenza implacabilmente logica ed il fascino della premessa, assunta come un atto di fede e troppo compenetrata ormai con tutta la sua vita spirituale, per poterla respingere senza restarne svuotato subitamente d’ogni energia e d’ogni sostegno. Tormentato dal carbonchio, malato di bronchi, di fegato, di reni, egli si avviava al declino, che la perdita dolorosissima, a pochi mesi di distanza, della moglie e della figlia adorate doveva precipitare la morte, sopraggiuntagli il 14 marzo dell’83, lasciava insoluti tutti i gravi quesiti che l’opera sua aveva implicati e proposti ed imponeva agli amici e condiscepoli fidati l’arduo compito di tentare una risposta, sia pur frammentaria e ineguale, interrogando le carte inedite lasciate dallo scomparso. Usciva così nel 1885, a cura dell’Engels, il così detto libro secondo del ‘Capitale’, tutto quanto dedicato all’argomento frigido della circolazione del capitale: discontinuo ed oscuro nell’esposizione, povero di dati sperimentali, il libro, che ha tuttavia pagine di grande pregio sulla formazione delle riserve metalliche stagnanti e su altre questioni connesse al giro dei capitali, non forniva agli studiosi in aspettativa alcun chiarimento sulle questioni essenziali del sistema. Dieci anni dopo, il terzo libro, pubblicato ancora dall’Engels nel ’95, affrontava finalmente il problema centrale, ma ne forniva – come si è visto – una soluzione in sì aperta contraddizione col postulato iniziale, da suscitare la delusione più completa; nuovi studiosi impugnavano frattanto altre teorie proposte nel volume, veniva dimostrata totalmente erronea la presunta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, segni di palese stanchezza rivelava il tentativo di costruire una completa teorica della lotta di classe: eppure anche questo terzo libro non può dirsi condannabile in blocco se fornisce alla scienza economica preziosi apporti con la teoria della rendita fondiaria assoluta e della metamorfosi del capitale usurario, mentre l’ultima opera postuma del Marx, la ‘Storia delle teorie del plus-valore’, edita dal Kautsky in quattro volumi dal 1905 al 1910, spazia con acume e larghezza di informazione dai fisiocrati al Mill ed al Senior in un’indagine ricca di spunti critici, anche se qua e là acre e tendenziosa. In ultima analisi il tentativo del Marx di costruire una nuova ed organica dottrina economica, diversa e contrapposta a quella classica ed ufficiale, deve ritenersi fallito: in questo campo i suoi contributi, preziosi e cospicui, si limitano tuttavia alle proporzioni dell’indagine parziale, della soluzione singola, dello spunto frammentario: la fecondità di questi apporti, che la scienza economica ha definitivamente acquisiti, testimonia essa medesima come la contraddizione e l’antitesi fossero soltanto psicologiche e i materiali elaborati per la nuova economia hanno ben servito a far più solido e vasto l’edificio di quella antica. Pel resto, il sistema complessivo del Marx è ben fuori dalla scienza economica: rimasto incompiuto nella formulazione, caduto ben presto in contraddizioni insanabili, è stato ormai ridotto palesemente all’assurdo. Perché dunque un libro come il ‘Capitale’ merita di essere ancora riletto e meditato e qual’è infine non solo il fascino (…) ma la grandezza vera del Marx? (…) Per la prima volta, fuori di tutte le astratterie antistoriche, egli riconosce una suprema legge di necessità nel mondo, campo di una lotta perenne in cui solo la forza è dominatrice. Istituti caduchi, dottrine utopistiche, sogni ed ipocrisie demagogiche, tutto si dissolve nel crogiuolo ardente in cui la materia sociale ribolle perennemente. Nessun pietismo lacrimoso può far salire d’un gradino la scala del riscatto degli oppressi, la cui ascesa rigeneratrice è solo questione di potenza materiale e spirituale. L’insegnamento del Marx è schiettamente realistico e di qui nasce l’immensa sua eco politica; non si creda tuttavia che questa riduzione in termini di forza significhi difetto di spiritualità, povertà di senso etico. (…) L’originalità di Marx e la sua meritata fortuna risiedono in ciò: che egli di questo sdegno non fa argomento per una sterile imprecazione, né materia per una condanna verbale, bensì se ne giova come di una rivelazione trascinatrice, d’un pungolo eroico. La classe proletaria deve conoscere tutta la propria ingiusta miseria per armarsi di quel furore e spingersi, marea inarrestabile, a riconquistare quei beni di cui è stata privata con l’insidia e la violenza”  [Luigi Firpo, ‘Introduzione’ in: Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica. Libro Primo, Utet, Torino, 1947] (pag XXXV-XXXVII)