“Questo saggio si basa sulla lettura di due annate del «Bjulleten oppositsii», pubblicato prima a Parigi e poi a Berlino da un gruppo di trotskisti e contenente numerosi articoli scritti dallo stesso Trotsky durante i primi anni del suo forzato esilio dalla Russia. Importanti sono anche gli articoli scritti occasionalmente per il bollettino da membri dell’opposizione e fatti uscire clandestinamente dall’Urss, soprattutto le intelligenti e meditate analisi di Christian Rakovskij” (pag 31); “Trotsky sostiene giustamente che l’accelerazione dell’industrializzazione nel 1928-29 portò inevitabilmente alla scarsità di merci, alle code, queste essendo «il più valido argomento contro il socialismo in un paese isolato» (n. 7, p. 2). Egli non mostrò, tuttavia, neppur lontanamente di cogliere il nesso tra scarsità di merci e prezzi. Come abbiamo già detto, Trotsky considerò la crisi dell’ammasso del grano nell’inverno del 1927-28 una manifestazione della potenza dei ‘kulaki’ e giudicò il tardivo (e troppo limitato) aumento dei prezzi della metà del 1928 una intollerabile concessione alle forze del mercato. Di conseguenza approvò le «misure straordinarie» adottate da Stalin, anche se forse non la durezza con cui Stalin procedette alla requisizione del grano. Per la verità Trotsky e alcuni suoi corrispondenti sostennero che nel corso di queste esazioni, il ‘kulak’ era ancora in qualche modo favorito. Questo giudizio a mio avviso, dipendeva dal quadro sbagliato che Trotsky si faceva sulla natura del «centrismo» staliniano: la burocrazia ‘doveva’ per forza essere influenzata dai ‘kulaki’ (e senza dubbio parte della burocrazia lo era!). Alla fine Trotsky riconobbe che la campagna contro i ‘kulaki’ era reale. Ma naturalmente, «il ‘kulak’ non è separato dal contadino medio da un muro impenetrabile. In condizioni di produzione di mercato, i contadini medi generano automaticamente dei ‘kulaki’ tra le loro stesse file. La pioggia di severe misure governative che colpì i ‘kulaki’, disorganizzati e in preda al panico, e colpì non soltanto i ‘kulaki’, creò un ostacolo allo sviluppo di strati superiori di contadini medi… I contadini cominciarono a precipitarsi alla ricerca di un’altra maniera di andare avanti. E così nacque la “collettivizzazione totale”» (Trockij, n. 9, p. 3, scritto nel febbraio 1930). In questa e in altre occasioni Trotsky mostrò dapprima di pensare che la dirigenza fosse stata colta di sorpresa dalla reazione dei contadini che si precipitarono a entrare nelle fattorie collettive, una reazione dovuta ai provvedimenti governativi che stabilivano la chiusura dei mercati e le consegne obbligatorie all’ammasso. «Le porte dei mercati furono chiuse. Dopo aver atteso impauriti all’ingresso, i contadini si precipitarono attraverso le sole porte aperte, le porte della collettivizzazione» (n. 9, p. 4). Ma allora «la fattoria collettiva può diventare una nuova forma di camuffamento per i ‘kulaki’» (ibid., p. 5). (Che idea sbagliata!). Entro il giugno 1930 due cose diventarono chiare nei messaggi che arrivavano dalla Russia. La prima era la dimensione della coercizione governativa nei confronti sia dei ‘kulaki’ sia dei semplici contadini, coercizione che indusse anche i contadini più poveri a farsi un’idea negativa della collettivizzazione. La seconda era il noto articolo di Stalin «inebriato dal successo», che faceva ricadere la colpa degli eccessi sui funzionari locali e che condusse a una fuga precipitosa dei contadini dalle aziende collettive (dove furono costretti di nuovo a tornare negli anni successivi). Un articolo di F. Dingelstedt parla di una «collettivizzazione su larga scala, realizzata con metodi sommari e violenti (‘medodam prisibeevych’ (1)), [che] ha provocato un dissesto senza precedenti nell’economia nazionale»; enormi perdite di bestiame, completa confusione nei piani dei funzionari, precipitose ritirate, tutte cose ben conosciute e giustamente (n. 12-13, p. 18). «Noi siamo per la industrializzazione e la collettivizzazione», ma «contro il ciarlatanismo burocratico…». Tuttavia, soltanto nel novembre 1930, l’errore venne ripetuto: «Aziende agricole collettive senza la necessaria base industriale produrranno inevitabilmente dei ‘kulaki’. Chiamare socialista una collettivizzazione basata sugli attrezzi dei contadini significa far rivivere la teoria buchariniana della integrazione dei ‘kulaki’ nel socialismo, ma in una forma camuffata da provvedimento governativo e quindi più subdola» (n. 17-18, p. 25). A parte la tendenza a prevedere una rioscillazione a destra dei «centristi» staliniani, un altro errore di Trotsky in materia di agricoltura mi sembra derivare da una semplicistica sopravvalutazione dei vantaggi della coltivazione meccanizzata su larga scala. In questo egli seguiva l’esempio di Lenin («Se avessimo 100.000 trattori… allora, i contadini direbbero “Siamo per il comunismo”». Trotsky poté dunque sostenere ‘sia’ che la collettivizzazione era necessaria ‘sia’ che poteva essere realizzata senza alcuna coercizione quando sarebbero stati disponibili i macchinari necessari. Esperienze successive (in Polonia, per non andare troppo lontano) dimostrano che questa posizione era sbagliata. Stalin, per brutale che fosse, sembra esser stato più realistico circa l’atteggiamento dei contadini. Arriviamo così alle posizioni di Trotsky sui tempi dell’industrializzazione e dell’accumulazione. (…)” (pag 35-36-37) [(1) Prisibeev è un dispotico sottufficiale a riposo, protagonista del racconto d Cecov ‘Unter Prisibeev’] [Alec Nove, ‘Trockij e l’«opposizione di sinistra», 1929-1931’, ‘Studi storici’, Roma, 1, 1977] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]