“Hobson è stato dunque preso in considerazione nella presente indagine in quanto “fonte” del pensiero scientifico di Lenin sull’imperialismo. Su questo punto è probabile che molti non si trovino d’accordo. Ad esempio, Sutcliffe (1977: 380-1) afferma che la teoria dell’imperialismo di “Hobson e Lenin” è un mito inventato dagli storici e dagli economisti non marxisti: «Com’è noto Lenin dovette molto a Hobson per i dati che egli fornì sul rapporto tra la politica imperiale inglese e le esportazioni di capitali. Ma dal punto di vista teorico Lenin non riprese assolutamente nulla da Hobson (…). Parlare di una teoria di ‘Lenin e Hobson’ significa (…) esagerare a dismisura la parentela teorica esistente tra i due. Lenin d’altra parte rifiutò esplicitamente la parentela teorica di Hobson». A me sembra che questo punto di vista contrasti, sia con l’esplicito riconoscimento del proprio debito scientifico verso Hobson e Hilferding che Lenin (1971: 576) premette al suo ‘pamphlet’, sia con i continui riferimenti a tesi o ipotesi hobsoniane che Lenin fa proprie assegnando loro un ruolo di primo piano nella sua analisi. Mi riferisco non solo, né principalmente, all’ipotesi di un legame tra esportazione di capitali e spartizione territoriale del mondo (debito che anche Sutcliffe riconosce) e nemmeno all’ipotesi, collegata a questa, di una tendenza al parassitismo dei paesi imperialisti; mi riferisco soprattutto al fatto che lo stesso Lenin riconosca a Hobson il merito di avere formulato per primo una definizione di imperialismo storicamente determinata rispetto alle condizioni concrete della loro epoca. «Kautsky, che pretende di continuare nella difesa del marxismo, di fatto fa un passo indietro in confronto del ‘social-liberale’ Hobson, il quale molto ‘più giustamente’ prende in considerazione due concrete peculiarità “storiche” (Kautsky invece, con la sua definizione, si beffa della concretezza storica!) del moderno imperialismo, e cioè: 1. la concorrenza di ‘diversi’ imperialismi; 2. la prevalenza del finanziere sul commerciante» (Lenin, 1971:641; corsivi nell’originale). Il fatto che Lenin concordi con questa definizione, mentre avvalora l’opinione espressa nelle pagine precedenti che “al fondo” del discorso leniniano sull’imperialismo vi era la questione della guerra tra paesi capitalisti rivali, mostra come Lenin condividesse ben più di qualche ipotesi isolata, ma il modo stesso in cui Hobson aveva impostato la ‘diagnosi’ dell’imperialismo. Da questo punto di vista, cioè della diagnosi, mi sembra che le differenze tra Lenin e Hobson fossero sostanzialmente due e che derivassero interamente dalla diversa angolatura “spazio-temporale” da cui essi osservavano i fenomeni imperialistici. In primo luogo, Hobson scriveva dieci anni prima che scoppiasse la grande guerra e la sua preoccupazione principale era proprio di mettere in risalto quelle tendenze che a lui sembrava conducessero a un tale evento (cfr. capitolo II). Lenin scriveva invece quando la prima guerra mondiale era già scoppiata e la sua preoccupazione principale era di mostrare la precarietà della pace che sarebbe seguita: di qui il suo contributo più originale rispetto alla teoria hobsoniana, rappresentato dalla tesi che lo “sviluppo ineguale” avrebbe riacceso il conflitto tra paesi capitalistici per una nuova ridivisione del mondo (cfr. capitolo III). In secondo luogo, la teoria di Hobson si riferiva in modo specifico all’Inghilterra della fine dell’Ottocento. Nonostante che questa fosse, come dice Lenin (1971: 650) il paese “più ricco così di colonie come di capitale finanziario e di esperienza imperialistica”, era anche il paese dove la concentrazione dell’apparato produttivo era rimasta più indietro rispetto ai livelli raggiunti nell’Europa continentale e in particolare in Germania su cui si fondava l’analisi di Hilferding – l’altra fonte scientifica di Lenin. Di qui il diverso accento posto da Hobson e da Lenin sul ruolo giocato dalla concentrazione capitalistica nel favorire l’ascesa del capitale monopolistico e dell’imperialismo: pressoché assente in Hobson, gioca invece un ruolo decisivo nell’analisi di Lenin. Questa seconda differenza, tuttavia, non “depone” interamente a favore di Lenin come potrebbe sembrare a prima vista. La sua analisi rimane infatti indeterminata tra due concezioni di “capitale finanziario” diverse e incommensurabili. In che senso le concezioni di Hobson e di Hilferding fossero incommensurabili verrà chiarito nelle conclusioni quando almeno una delle due sarà stata definita. Per il momento basterà menzionare il fatto che per Hobson l’espressione “capitale finanziario” (o altre analoghe che egli usava in sue vece) denotava una entità ‘sovranazionale’ con legami pressoché nulli con l’apparato produttivo, mentre per Hilferding denotava un’entità a carattere ‘nazionale’ con legami tendenzialmente molto stretti con l’apparato produttivo. Lenin oscilla continuamente tra queste due concezioni, senza mai distinguerle in modo chiaro ed esplicito. Anzi, si ha la netta impressione che non le distingua affatto e che usi, consapevolmente o inconsapevolmente, lo stesso termine, “capitale finanziario”, per designare insiemi di fenomeni del tutto diversi. Se si escludono queste due differenze, non mi sembra che, sul piano della diagnosi, Lenin si sia discostato molto dalle posizioni teoriche di Hobson. In effetti, ciò che Lenin ha rifiutato ‘esplicitamente’ non è tanto l’impostazione teorica di Hobson quanto le conclusioni politiche che questi traeva dalla sua diagnosi. E’ da questo punto di vista che Hobson, normalmente contrapposto a Kautsky, finisce col venirgli equiparato. «Anche Hobson nella sua critica dell’imperialismo assume una posizione analoga. Hobson precorre Kautsky nel dichiararsi contro la “inevitabilità dell’imperialismo” e nell’appellarsi alla necessità di “elevare [in regime capitalista!] la capacità di consumo della popolazione!» (Lenin, 1971: 657-658)” [Giovanni Arrighi, ‘La geometria dell’imperialismo’, Milano, 1978] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]