“Gramsci è consapevole delle forze ideologiche schierate normalmente a favore della borghesia e sa quanto sia difficile rompere, per il dirigente socialista o comunista, la crosta dei luoghi comuni che la classe borghese ha saputo stendere, da sempre, in forma egemonica, sulla scuola, sulla cultura, sul pensiero di tutto lo Stato, per far credere che i propri ideali siano rivestiti di valori assoluti e non legati, da ragioni storiche e di classe, alla conservazione dei propri privilegi e del proprio potere. «Bisogna educare il proletariato», è il ritornello dei suoi scritti giovanili. Ma non basta. Per la conquista del potere, perché la classe operaia sia veramente preparata, occorre anche che «le sirene della perdizione» vengano imbavagliate, vengano messe in condizione di non parlare, di non nuocere: «Fino a quando il proletariato non comprenda tutto il popolo, e non sia immunizzato, bisogna che esso almeno pensi a gettare sulla società borghese la rete del proprio controllo, per imprigionarla». D’altra parte, la conquista del potere può passare per vie infinite, imprevedibili, non preventivabili. Lo aveva già affermato, con tutta la forza del suo linguaggio paradossale, quando la rivoluzione bolscevica era stata osannata come una rivoluzione compiuta contro Marx e contro le sue teorie. La conquista del potere può avvenire in modi che il ‘marxista filologo’ non riesce nemmeno a comprendere e far propri, tanto meno a prevedere. Perché «la storia reale non accetta ipotesi di svolgimento degli avvenimenti, altro che come indizi che possono servire per dare un indirizzo possibilmente sicuro all’azione pratica: e i rivoluzionari osservano la storia reale, non il gioco dei partiti, osservano la dialettica delle forze reali economiche, non i pii desideri e le trepidazioni delle mosche cocchiere». Bisogna infrangere gli schemi precostituiti e adeguarsi alla mutevole e complessa vita reale” [Alberto Pozzolini, ‘Che cosa ha veramente detto Gramsci’, Roma, 1968]