“Come Marx si espresse, “perché una crisi (e, quindi, anche la superproduzione) sia generale, è sufficiente che essa si impadronisca dei principali articoli del commercio” (1). Tale crisi è facilmente riferibile a una sproporzione tra i vari settori della produzione e questa sproporzione a sua volta ha le sue radici nel carattere non-pianificato e anarchico della produzione capitalistica (2). La sproporzione è sempre una delle cause probabili di crisi e, quasi certamente, è un fattore che complica tutte le crisi, qualunque ne sia la causa fondamentale. E’ in parte per questo motivo – il modo di funzionare del sistema creditizio è un motivo supplementare – che la crisi reale non corrisponde ‘mai’ a un modello astratto. Ma le sproporzioni, derivanti dalla mancanza di pianificazione del capitalismo, per loro natura non sono suscettibili di traduzione in termini di leggi generali. Per questa ragione la loro trattazione esula dallo scopo del sistema teoretico di Marx. Egli, dopo aver fatto menzione della possibilità delle sproporzioni, procede nel modo seguente: “Ciò nondimeno, qui non parliamo della crisi che trova la sua origine in una produzione senza proporzioni (‘unproportionierter Produktion’), vale a dire della crisi che poggia su una erronea distribuzione del lavoro sociale tra i singoli settori della produzione. Quest’ultima può venire in considerazione soltanto in quanto la discussione si riferisca alla concorrenza di capitali. A tal riguardo va ricordato quanto si è già avuto occasione di porre in rilievo e cioè che l’aumento o la caduta del valore di mercato, conseguente a questo erroneo rapporto, ha come risultato il prelevamento di capitale da un settore di produzione e il trasferimento del medesimo a un altro settore, vale a dire l’emigrazione del capitale da un settore all’altro. Ciò nondimeno, in questo processo di equilibramento, è già implicito che esso presuppone lo squilibrio e può contenere perciò in se stesso i germi della crisi, che la stessa crisi può essere una forma di equilibramento” (3). Poiché la “concorrenza di capitali” era un argomento che Marx non aveva intenzione di analizzare minutamente, era del tutto naturale che la sproporzione, come causa di crisi, venisse da lui esaminata di sfuggita. Sembra inoltre che i primi seguaci di Marx, come pure i commentatori dei suoi scritti economici, abbiano ignorato interamente questa “teoria” della crisi. Può quindi sembrare singolare che molti esponenti del Partito socialdemocratico tedesco, negli anni anteriori e successivi alla prima guerra mondiale, parlassero della teoria, che spiega le crisi come effetto della sproporzione della produzione, come della sola e unica teoria marxista (4). Mette conto esaminarne le ragioni. Colui che fu ‘principalmente’ responsabile della popolarità tra i socialisti della teoria della sproporzione fu l’economista russo Michael Tugan-Baranowsky. Tugan era forse il più autorevole e originale degli economisti sorti dal cosiddetto movimento “revisionistico”, che cominciò a diffondersi in tutto il socialismo europeo dopo la morte di Engels (1895). Il considerare Tugan come un revisionista potrebbe essere oggetto di discussione, perché egli non pretese mai di essere un marxista di una qualsiasi specie e, sotto questo riguardo, differiva da coloro che, come Eduard Bernstein, pensavano (o per lo meno dicevano di pensare) che essi stavano semplicemente “rivedendo” Marx alla luce dell’esperienza moderna. Ai fini pratici, tuttavia, Tugan era un revisionista; e potrebbe indurre in errore non classificarlo come tale per quanto riguarda la presente indagine. Comunque, deve aggiungersi anche che Tugan esercitò una notevole influenza sullo sviluppo delle indagini moderne sul ciclo economico; la sua opera sulla storia delle crisi commerciali in Inghilterra può essere considerata come una delle opere di avanguardia sul campo della indagine empirica in tale campo (5). Tugan respinse quelle che egli supponeva fossero le due spiegazioni delle crisi esposte da Marx, e cioè: 1) che le crisi sono prodotte dalla caduta tendenziale del saggio del profitto; 2) che le crisi risultano da un sottoconsumo delle masse. Si liberò dalla prima col sostenere che una crescente composizione organica del capitale, nonché provocare un declino del saggio del profitto, come riteneva Marx, deve portare a un aumento del saggio stesso (6). Egli cercò di confutare la seconda tesi assumendo con una elaborata dimostrazione che non vi può essere alcuna superproduzione o deficienza di domanda, qualunque cosa avvenga del consumo, fin tanto che la produzione è esattamente proporzionata nei vari settori dell’industria. La teoria delle sproporzioni era, tuttavia, in un certo senso un corollario della sua critica a Marx;  e con essa Tugan non aveva affatto l’intenzione di fare una esposizione della teoria marxista delle crisi” [Paul M. Sweezy, Le crisi e le depressioni. Le crisi di realizzo] [in AA.VV., La teoria dello sviluppo capitalistico. Discussione del pensiero economico marxiano, 1970] [(1) ‘Theorien über den Mehrwert, vol. II/2, p. 293; (2) Alcuni scrittori hanno attribuito la crisi di questo tipo all'”anarchia della produzione capitalistica”. Il che è esatto, ma deve ricordarsi che “anarchia” a tal riguardo non è sinonimo di “caos”. L’anarchia non implica necessariamente l’assenza di un ordine ma solamente l’assenza di una consapevole guida. La produzione capitalistica, nonostante il suo carattere anarchico, è regolata da leggi precise e oggettivamente valide; (3) ‘Theorien über Mehrwert’, vol II/2, p. 301; (4) Un esempio significativo è fornito dal saggio di Julian Borchardt sulla “teoria delle crisi” aggiunto come appendice al compendio, dello stesso autore, del ‘Capitale’ di Marx che fu pubblicato in inglese sotto il titolo ‘The People’s Marx’ e che si trova nell’opera ‘Capital, The Communist Manifest and Other Writings’ a cura di Max Eastman. Il compendio di Borchardt ebbe un’ampia diffusione in Germania e riscosse l’approvazione ufficiale del Partito socialdemocratico; (5) M. Tugan-Baranowsky, ‘Studien zur Theorie und Geschichte des Handelskrisen in England’ (Studi sulla teoria e la storia delle crisi commerciali in Inghilterra), traduzione tedesca del 1901 sulla seconda edizione del 1900. La prima edizione è del 1894; (6) La “dimostrazione” di questo assunto da parte di Tugan si basa su affermazioni puramente arbitrarie relative all’andamento del saggio del plusvalore e deve quindi essere considerata priva di ogni validità]