“Quanto al suffragio universale, il Marx maturo ha un atteggiamento estremamente realistico: e se nel ’50 scrive che esso “non era la bacchetta magica miracolosa che pensavano i galantuomini repubblicani”, aggiunge subito che esso possiede “il merito incomparabilmente più grande di scatenare la lotta di classe”, e che costituisce una scuola per il popolo; così nel ’52, vedrà il suffragio universale un pericolo – in determinate circostanze – per il potere della borghesia, che non esita, in tal caso, a disfarsene. Ideologicamente, in ogni caso, Marx non ha alcuna venerazione per esso: anzi, vede il senso della democrazia borghese nella presentazione mistificata del “dominio borghese come emanazione e risultato del suffragio universale, come espressione della volontà popolare sovrana” (6). Attento è soprattutto Marx alla realtà dell’organizzazione statuale: “la vecchia organizzazione dell’amministrazione, dei comuni, dei tribunali, dell’armata, rimase intatta” commenta a proposito della Seconda Repubblica: e in ciò riconosce la causa prima di debolezza della democrazia del ’48. E tutta la sua analisi dello Stato francese è imperniata sullo strapotere della burocrazia – accresciuto dalla rivoluzione, che ha distrutto i “contropoteri” feudali – che ha come strumenti l’apparato repressivo da un lato, la Banca di Parigi dall’altro” [Paolo Petta, Ideologie costituzionali della sinistra italiana (1892-1974), 1975] [(6) K. Marx, Le lotte di classe in Francia, dal 1848 al 1850, Roma, 1962]