“Le menti e i cuori degli intellettuali della classe media e dei burocrati delle associazioni sindacali operaie, furono quasi completamente affascinati dalle conquiste del capitalismo nel periodo che va dalla morte di Marx alla Guerra Mondiale. L’idea del progresso graduale (“evoluzione”) sembrava essersi affermata per ogni tempo, laddove l’idea di rivoluzione era considerata un mero relitto di barbarie. Alle previsioni marxiste vennero opposte quelle qualitativamente contrarie sulla distribuzione più equilibrata del reddito nazionale, sull’attenuarsi delle contraddizioni di classe e sulla graduale riforma della società capitalistica. Jean Jaurès, il più acuto dei socialdemocratici di quell’epoca classica, sperava di riempire gradualmente di sostanza sociale la democrazia politica. In ciò sta l’essenza del riformismo. Questa era l’alternativa della previsione. Che cosa ne resta? La vita del capitalismo monopolistico nel nostro tempo è tutta una catena di crisi. Ogni crisi è una catastrofe. La necessità di salvarsi da queste parziali catastrofi mediante barriere doganali, inflazione, aumento delle spese governative e debiti apre la via a ulteriori crisi, ma più profonde e diffuse. La lotta per i mercati, per le materie prime, per le colonie rende inevitabile la tragedia della guerra, con la sua appendice di sovvertimenti rivoluzionari. Non è davvero agevole convenire con Sombart che, invecchiando, il capitalismo diviene sempre più calmo, sedato, ragionevole. Si potrebbe anzi dire che stia perdendo l’ultima traccia di ragione. Ad ogni modo non c’è dubbio che la “teoria del disastro” ha trionfato su quella del progresso pacifico” [Leone Trotsky, Carlo Marx, 1949]